Giuristi Democratici sono tra i primi firmatari dell’appello proposto da “D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza” sul nuovo Piano Strategico Nazionale sulla violenza maschile contro le donne del Governo Meloni. I temi dell’appello sono stati al centro dell’incontro on line di oltre 200 attiviste svoltosi l’11 luglio 2025 che hanno discusso le preoccupazioni per i rischi che porta con sè il Piano del Governo e lanciato le iniziative per il prossimo autunno in vista della manifestazione nazionale del 25 novembre.
Appello e mobilitazione per Piano Strategico Nazionale e Intesa Stato-Regioni – Il nuovo Piano Strategico del Governo: senza confronto, senza trasparenza, senza donne.
Chiediamo alle associazioni femministe e alla società civile tutta di condividere questo nostro appello per costruire un argine collettivo alle preoccupanti derive di questo governo.
Facciamoci protagoniste di una mobilitazione comune, forte e determinata: una risposta collettiva per il cambiamento culturale necessario alla libertà di tutte e tutti.
Una modalità unidirezionale, opaca, che ignora il valore della co-progettazione.
Il sistema antiviolenza e la definizione delle politiche e delle azioni di contrasto alla violenza sulle donne e di genere necessitano della visione e dell’esperienza delle associazioni femministe, da decenni presidio indispensabile nella protezione di donne e minori e nella prevenzione del fenomeno.
Il 17 aprile 2025 il Dipartimento Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio ha presentato il quadro operativo delle azioni programmate nel 2025-2026 alle organizzazioni e agli organismi pubblici senza, di fatto, coinvolgere i Centri antiviolenza nella sua progettazione.
Molti gli aspetti che preoccupano le tante organizzazioni che si occupano quotidianamente di contrastare e prevenire la violenza sulle donne in Italia.
Denunciamo la mancata coerenza nella definizione e nell’implementazione di politiche adeguate che partano da una corretta lettura e interpretazione delle radici patriarcali del fenomeno. A fronte del riconoscimento formale da parte di questo governo e della sua maggioranza di essere in prima linea contro la violenza, rivendichiamo l’importanza del riconoscimento dell’operato dei Centri antiviolenza con approccio di genere.
In particolare:
Nessun documento è stato condiviso prima. Alcun documento è stato mai condiviso, in contraddizione con i principi di trasparenza e responsabilità riconosciuti nell’ordinamento italiano (D.lgs. 33/2013): questa modalità unidirezionale e direttiva ha segnato tutti gli incontri svolti.
Il Piano ripete gli stessi errori già denunciati negli anni precedenti: Il quadro operativo presentato è in continuità con il piano 2021-2023 e ripropone le stesse criticità già rilevate dalle associazioni di donne e dalla valutazione effettuata da organismi indipendenti, incaricati e finanziati dallo stesso DPO per il precedente piano (progetto ViVa realizzato da CNR-IRPSS):
a) il numero di proposte di intervento è così elevato da non consentirne la messa in opera nel tempo di un triennio, anche presupponendo il contributo di diverse amministrazioni e/o soggetti alla loro attuazione;
b) un’articolazione imprecisa del quadro logico che rende molto complessa la costruzione di un sistema di monitoraggio e valutazione dell’efficacia degli interventi previsti, volta a verificare i cambiamenti auspicati;
c) la legge di bilancio 2022 (art. 1, comma 149, legge n. 234/2021), ha soppresso l’obbligo di trasmissione annuale alle Camere di una relazione sull’attuazione del Piano da parte del Ministro delegato per le Pari Opportunità.
Nessun confronto con chi ha esperienza diretta nel contrasto alla violenza maschile sulle donne Non è rispettato il modello di governance nazionale e territoriale indicato dalla Convenzione di Istanbul e con forza raccomandato dal GREVIO (Group of Experts on Action against Violence against Women and Domestic Violence), gruppo di esperte indipendenti del Consiglio d’Europa, che attribuisce un ruolo centrale alle organizzazioni femministe che si occupano in maniera esclusiva del contrasto della violenza maschile di genere che è ritenuto necessario per realizzare le adeguate politiche integrate e coordinate. Il non rispetto di queste indicazioni comporta l’esclusione di fatto dei centri antiviolenza dagli organi decisionali, l’emarginazione dei servizi specialistici per le donne (centri antiviolenza e case rifugio) che pongono l’autonomia e l’autodeterminazione delle donne al centro del loro lavoro, oltre a determinare il rischio di adottare un approccio neutrale rispetto alla violenza di genere in violazione della Convenzione di Istanbul.
Senza trasparenza e verifica, le politiche restano sulla carta. Mancano misure di sistema valutabili nella loro applicazione ed efficacia nel breve, medio e lungo periodo. Una pianificazione efficace ed efficiente di azioni, infatti, può derivare esclusivamente da una solida base conoscitiva su cui si individuino le sfide, gli obiettivi, i tempi, le risorse, le responsabilità per colmare gap e intraprendere azioni innovative a completamento del quadro di sistema in cui deve intervenire un Piano strategico e coniugare in azioni un Piano operativo.
Le modifiche all’Intesa Stato-Regioni sui requisiti minimi dei Centri antiviolenza indeboliscono l’intero sistema di protezione: Allargare la platea dei soggetti finanziabili cancella la specificità dei Centri con approccio femminista. Si annulla l’autonomia delle donne come principio guida. Si apre la porta a interventi neutri, non specialistici, in contrasto con la Convenzione di Istanbul. Il rischio è che il contrasto alla violenza diventi un’azione generica, svuotata del suo senso politico e trasformativo.
Con queste premesse è urgente rivendicare:
Il diritto delle donne a vivere una vita libera dalla violenza. La garanzia dei tempi di elaborazione di politiche integrate. L’esecuzione puntuale di programmi. Co-costruzione di un documento politico e programmatico.
Il tutto non deve tradursi, come di fatto sta avvenendo, in un mero esercizio formale da assolvere senza alcun processo partecipato e condiviso.
Oltre alle organizzazioni socie della Rete D.i.Re, all’appello hanno già aderito:
- ActionAid Italia
- AIDOS
- Be Free
- CGIL
- Chayn Italia
- Cismai
- Giuristi Democratici
- Coordinamento Italiano della Lobby Europea delle Donne/LEF Italia
- NUDM – Non Una Di Meno
- Period Think Tank
- Udi, Unione Donne Italiane
- UIL
- Una Nessuna Centomila
Qui il modulo di adesione all’appello di D.i.Re