Palestina: la morte dell’Onu e del diritto internazionale

Palestina: la morte dell’Onu e del diritto internazionale

Il contributo apparso su Volere la luna del Co-Presidente Giuristi Democratici, Avvocato Roberto Lamacchia si interroga su quale potrebbe essere la risposta internazionale all’altezza della drammatica situazione in cui siamo immersi. Partendo dalla constatazione che la Corte Internazionale di Giustizia e la Corte Penale di Giustizia, pensate per garantire la possibilità di intervenire per affiancare all’ONU paralizzata dal diritto di veto, sono istituzioni monche, l’articolo analizza nel concreto la situazione in Palestina e si conclude affermando: “Non so quali soluzioni concrete siano immaginabili, ma credo che almeno un tentativo da parte dell’Onu di organizzare due, se non tre conferenze internazionali tenendo conto del conflitto Israele-Usa-Iran (una per ciascun conflitto) accompagnate da serie e decise prese di posizione delle Corti Internazionali, dovrebbe essere tentato: in caso contrario, si dovrà decretare la morte dell’Onu, delle sue Corti e del diritto internazionale.”

Palestina: la morte dell’Onu e del diritto internazionale

La drammatica situazione internazionale che stiamo vivendo – dall’aggressione russa all’Ucraina, che sta producendo almeno un milione di morti, tra militari e civili, al folle attacco di Hamas del 7 ottobre, che ha coinvolto oltre mille civili, uccisi o sequestrati, alla risposta sempre più genocidaria di Israele, che sta azzerando la popolazione palestinese di Gaza con bombardamenti e privazioni di cibo e di acqua, agli attacchi omicidiari di Israele nei confronti dei generali iraniani, all’attacco di Trump ai siti nucleari iraniani, senza nemmeno aver dichiarato una guerra, alla risposta iraniana che colpisce una base statunitense in territorio di altro Stato (e potrei continuare con Libano e Yemen) – richiederebbe ovviamente una risposta internazionale.

Proprio in previsione di simili situazioni, le nazioni si erano munite di una serie di istituti che garantissero la possibilità di intervenire (quanto meno per limitare, e poi sanzionare violazioni del diritto internazionale) da affiancare all’ONU, istituzione paralizzata dal diritto di veto che impedisce l’assunzione di decisioni cruciali per il mantenimento della pace. Sono nate, così, la Corte Internazionale di Giustizia e la Corte Penale Internazionale, oltre che la Cedu per l’Europa e i Tribunali ad hoc per singole guerre. Purtroppo, questi organismi sono nati monchi.

Alla Corte Internazionale di Giustizia (CIG) non aderiscono tre dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu: Cina, Russia e Stati Uniti. Non aderiscono, inoltre, Israele, India, Iran, Egitto, Arabia Saudita, Turchia, Pakistan, Iraq, Libia e Sudan. La CIG è il principale organo giudiziario delle Nazioni Unite. Si occupa di risolvere controversie legali tra Stati membri e di fornire pareri consultivi su questioni giuridiche sottoposte da organi e agenzie specializzate delle Nazioni Unite. La sua funzione principale è applicare e interpretare il diritto internazionale.

Per quanto riguarda la Corte Penale Internazionale, la situazione circa le mancate adesioni è identica. Essa, infatti, conta 125 Stati membri, ma Stati Uniti, Russia e Cina (tre dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU) non hanno aderito, così come Israele, India, Iran, Egitto, Arabia Saudita, Turchia, Pakistan, Iraq, Libia e Sudan. La competenza della CPI è limitata ai crimini più seri che riguardano la comunità internazionale nel suo insieme: genocidio, i crimini contro l’umanità, crimini di guerra e crimine di aggressione commessi da individui, a differenza, dunque, della competenza della Corte di Giustizia che giudica e sanziona gli Stati. La sua istituzione ha rappresentato un passo importante nella creazione di un diritto internazionale teoricamente estensibile a tutti i 192 Stati membri dell’ONU; in realtà, come detto, solo 125 Stati hanno sottoscritto lo Statuto di Roma che al suo articolo 8 sancisce la nascita della CPI, mentre altri 32 Stati hanno firmato il trattato di Roma, ma poi non lo hanno mai ratificato. A differenza della Corte Internazionale di Giustizia, la CPI non è un organo delle Nazioni Unite, pur se vi sono rapporti tra le due istituzioni relativi alla attivazione e sospensione temporanea dell’attività investigativa della Corte. Inoltre, i singoli Stati possono segnalare alla CPI casi che possono costituire crimini di guerra o contro l’umanità.

Ricostruito, così sommariamente, il quadro delle istituzioni che si occupano del diritto internazionale, vediamo qual è l’attuale situazione nel concreto, con particolare riferimento alla Palestina.

La Corte Internazionale di Giustizia (CIG) ha affrontato diverse questioni relative a Israele: ha dichiarato illegale la presenza di Israele nei territori palestinesi occupati, ritenendo che quest’ultimo non abbia diritto alla sovranità su tali territori a causa della loro occupazione e sta valutando le accuse di genocidio mosse dal Sudafrica contro Israele nell’ambito della guerra a Gaza. La CIG ha emesso, in particolare, due ordinanze. Con la prima del 26 gennaio 2024 ha deciso di respingere la richiesta di archiviazione dell’esposto presentato dal Sudafrica e di procedere nell’esame del rischio di genocidio nei confronti di Israele per le operazioni a Gaza. Con una seconda ordinanza, del 24 maggio 2024, il Governo israeliano è stato accusato di aver violato gli obblighi internazionali derivanti dalla Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio del 1948 e, nello specifico, la Corte ha statuito che «lo Stato di Israele, in conformità con i suoi obblighi ai sensi della Convenzione sulla prevenzione e la punizione del crimine di genocidio, e in considerazione del peggioramento delle condizioni di vita dei civili nel governatorato di Rafah, dovrà: […] fermare immediatamente la sua offensiva militare e qualsiasi altra azione nel governatorato di Rafah che possa infliggere al gruppo palestinese di Gaza condizioni di vita che potrebbero portare alla sua distruzione fisica, totale o parziale; […] mantenere aperto il valico di Rafah per la fornitura senza ostacoli di servizi di base e assistenza umanitaria urgentemente necessari; […] adottare misure efficaci per garantire l’accesso senza ostacoli alla Striscia di Gaza di qualsiasi commissione d’inchiesta, missione d’indagine o altro organo investigativo incaricato dagli organi competenti delle Nazioni Unite di indagare sulle accuse di genocidio». Inoltre, lo Stato di Israele dovrà presentare alla Corte una relazione su tutte le misure adottate per dare attuazione all’ordinanza in parola, entro un mese dalla data della sua emissione, ovvero entro il 24 giugno 2024. Non è nemmeno il caso di ricordare come Israele non abbia tenuto in alcun conto le prescrizioni della Corte. Il successivo 19 luglio 2024, la Corte Internazionale di Giustizia (CIG) ha emesso un parere consultivo che ha avuto implicazioni significative per la situazione nei territori palestinesi occupati. La Corte ha affermato che gli Stati non devono riconoscere, sostenere o assistere la situazione illegale derivante dall’occupazione israeliana. Nello specifico, la Corte ha stabilito che gli Stati hanno l’obbligo di astenersi da qualsiasi attività economica o commerciale che possa consolidare la presenza illegale di Israele nei territori palestinesi occupati.

Quanto alla CPI, il 21 novembre 2024, la Camera preliminare I ha emesso due decisioni cruciali per la situazione nello Stato di Palestina. All’unanimità, la Camera ha respinto le richieste presentate da Israele ai sensi degli articoli 18 e 19 dello Statuto di Roma e ha emesso mandati di arresto per il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l’ex Ministro della Difesa Yoav Gallant. Israele aveva contestato la giurisdizione della Corte sulla situazione in Palestina e sui cittadini israeliani. Tuttavia, la Camera ha stabilito che la giurisdizione territoriale della Corte si estende alla Palestina, come precedentemente deciso. I mandati di arresto emessi riguardano presunti crimini commessi dai due esponenti politici israeliani, tra l’8 ottobre 2023 e il 20 maggio 2024, durante il conflitto in Gaza. La Camera preliminare ha riscontrato fondati motivi per accusare Netanyahu e Gallant di crimini contro l’umanità e crimine di guerra. Secondo la Corte, Netanyahu e Gallant hanno agito consapevolmente per impedire aiuti umanitari, violando il diritto internazionale umanitario. Tali azioni avrebbero causato malnutrizione, disidratazione e sofferenze gravi alla popolazione civile, con un impatto devastante su ospedali e infrastrutture essenziali. La Camera ha sottolineato che le restrizioni erano motivate politicamente e non da necessità militari. Le indagini stanno andando avanti. Sono fermi i mandati d’arresto nei confronti di Netanyahu e Gallant, viste l’impossibilità di eseguirli e le dichiarazioni preoccupanti di molti paesi, tra cui l’Italia, che hanno reso noto di non volerli eseguire laddove ce ne fosse la possibilità. Non v’è dubbio che l’inerzia e, a volte, la contrarietà di alcuni Stati verso le iniziative delle Corti internazionali, potrebbero incidere negativamente sull’immagine di quelle Corti come strumento di regolazione e di tutela dei diritti dell’uomo. Non va dimenticato che le statuizioni della CPI, che riguardano, come è noto, i singoli responsabili dei crimini, possono avere piena valenza anche nel procedimento avanti la Corte di Giustizia, perché le motivazioni contenute nella decisione del 21 novembre 2024, che attribuiscono dolosamente a quei soggetti, responsabili della politica di Israele, lo stato di grave sofferenza per la popolazione palestinese che subisce malnutrizione e disidratazione, ben possono costituire motivazioni a sostegno dell’accusa di genocidio che la Corte di Giustizia aveva intravisto come rischio, per evitare il quale aveva espressamente imposto che Israele non mettesse in atto comportamenti tali da mettere in pericolo la sopravvivenza della popolazione, esattamente il contrario di quanto in concreto attuato da Israele.

Non v’è dubbio che l’attuale situazione bellica necessiterebbe di un intervento diplomatico, politico e giudiziario ed invece, nulla o poco più di nulla avviene. Nonostante la condanna dei comportamenti di Israele da parte della CGJ, la situazione non è affatto migliorata, anzi, i continui bombardamenti, l’ultimo dei quali su un Internet Café che sembra difficile collegare a una postazione di Hamas, e le restrizioni alla distribuzione di cibi e medicinali alla popolazione hanno ulteriormente aggravato la situazione. Ma come è possibile che, ad oggi, la CIG non abbia preso la decisione definitiva circa la sussistenza del genocidio di cui aveva segnalato il rischio nelle precedenti ordinanze? Una decisione sul tema della CIG non riuscirebbe a costringere Israele a cessare dai suoi comportamenti, ma sarebbe, dal punto di vista del diritto internazionale, un punto fondamentale. Analogo discorso può valere per la CPI pur se numerosi Stati hanno già dichiarato che non eseguirebbero i mandati di cattura qualora Netanyahu e Gallant si trovassero sul loro territorio. Si ripete, in definitiva, quanto avvenuto in relazione ai mandati di cattura nei confronti di Putin emessi dalla CPI sin dal 17 marzo 2023 e mai eseguiti.

Eppure, sia pure solo sul piano giudiziario, il diritto internazionale offre diversi strumenti per porre fine ai conflitti a partire dalla Carta delle Nazioni Unite che proibisce l’uso della forza, salvo il caso della legittima difesa, per dirimere le controversie internazionali. Il Diritto Internazionale Umanitario, le Convenzioni di Ginevra, il Consiglio di Sicurezza potrebbero costituire strumenti utili ai fini di mantenere la pace e la sicurezza internazionale. In caso di minaccia alla pace, violazione della pace o atto di aggressione. A questi strumenti si devono aggiungeregli strumenti diplomatici che cerchino di individuare soluzioni di mediazione tra i diversi interessi in campo. Il diritto internazionale offre un vasto arsenale di strumenti per prevenire e risolvere i conflitti, proteggere i civili e promuovere la pace e la sicurezza internazionale. L’efficacia di questi strumenti dipende dalla volontà degli Stati di rispettare le norme internazionali e di cooperare per il raggiungimento di obiettivi comuni. Ma il vero problema, oggi, è la totale irrilevanza dell’ONU, non in grado di assumere decisioni concrete per porre fine ai conflitti armati in atto; le sue appendici, CIG e, in parte CPI, hanno qualche margine di manovra in più, ma non riescono, poi, a concretizzare le loro prese di posizione. E tutto ciò porta a dover assistere impotenti a palesi violazioni dei diritti umani: dai civili ucraini uccisi nel corso dei bombardamenti russi, alla strage senza fine della popolazione di Gaza, agli omicidi telecomandati tramite droni da parte di Israele, agli attacchi da parte USA a uno Stato con cui non è formalmente in guerra.

E la soluzione, unica possibile in questa fase, sembra essere una pace tra Russia e Ucraina decisa tra Putin e Trump e, per quanto riguarda Gaza, la deportazione dei palestinesi in qualche ancora oscuro luogo e l’acquisizione di tutta la striscia da parte di Israele. Entrambe queste ipotesi di soluzione delle crisi sarebbero devastanti per i diritti umani: imporre ai cittadini ucraini una riduzione del loro territorio senza il loro consenso, e senza passare, quanto meno, da un referendum popolare, oltre ad essere inaccettabile per quelle popolazioni, sarebbe creare un gravissimo precedente che aprirebbe la strada a conflitti potenzialmente devastanti. Quanto a Gaza, è tale il ribrezzo davanti al programmato sterminio della popolazione civile da parte di Israele che mancano le parole per esprimere lo sdegno per quanto sta accadendo e per la malafede di chi lo giustifica in nome di una presunta difesa legittima o comunque rifiuta di esprimere una chiara condanna in nome di un presunto rischio di antisemitismo: condannare il genocidio (bisogna chiamare le cose con il loro nome) di Gaza non c’entra nulla con l’antisemitismo, è una condanna totale al comportamento del Governo israeliano.

Non so quali soluzioni concrete siano immaginabili, ma credo che almeno un tentativo da parte dell’Onu di organizzare due, se non tre conferenze internazionali tenendo conto del conflitto Israele-Usa-Iran (una per ciascun conflitto) accompagnate da serie e decise prese di posizione delle Corti Internazionali, dovrebbe essere tentato: in caso contrario, si dovrà decretare la morte dell’Onu, delle sue Corti e del diritto internazionale.

Roberto Lamacchia

Pubblicato in Volere la luna

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