Decreto Sicurezza: note sulla relazione della Corte di Cassazione

Decreto Sicurezza: note sulla relazione della Corte di Cassazione

Di seguito note a cura di Antonello Ciervo – esecutivo Associazione Nazionale Giuristi Democratici.

Con la relazione n. 33/2025 del 23 giugno scorso, l’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione ha svolto una prima analisi sul contenuto del “Decreto legge sicurezza”, evidenziandone le criticità ed i potenziali profili di illegittimità costituzionale, oltre che di contrasto con il Diritto UE. In estrema sintesi, la Corte di Cassazione, seppur in sede non giurisdizionale, ha evidenziato quanto segue:

a) il “Decreto legge sicurezza” è radicalmente privo dei presupposti di straordinaria necessità ed urgenza di cui all’art. 77, secondo comma Cost., in considerazione del fatto che si tratta di un testo precedentemente inserito in un ddl di iniziativa governativa, già approvato dalla Camera dei Deputati e che, discusso in Commissione Affari Costituzionali al Senato, stava per essere approvato anche nel secondo ramo del Parlamento, tra l’altro con modifiche minime rispetto al testo originario;

b) il Decreto legge, anche in ragione del particolare – se non unico – iter di trasformazione da ddl a provvedimento di straordinaria necessità ed urgenza su cui è stata apposta la fiducia da parte del Governo, sia alla Camera che al Senato, ha leso le prerogative dei parlamentari ad emendare, discutere ed approvare il testo. La Corte, al riguardo, registra anche una violazione della c.d. “riserva di assemblea”, in ragione del contenuto eminentemente costituzionale della materia trattata (le norme penali contenute nel Decreto legge, infatti, riducono drasticamente la libertà personale ed i diritti civili dei consociati);

c) anche per questo motivo, numerosi principi costituzionali in materia penale sembrano essere violati dalle norme del Decreto legge e, in particolare, secondo la Cassazione:

– il principio di sussidiarietà e di extrema ratio della normativa penale;

– il principio di necessaria offensività;

– il principio di sufficiente determinatezza e precisione della fattispecie incriminatrice;

– il principio di personalità della responsabilità penale, il quale esige che la pena irrogata costituisca una risposta non soltanto non sproporzionata, ma anche il più possibile individualizzata, dovendo essere calibrata sulla situazione del singolo condannato, nonché il principio del finalismo rieducativo della pena;

– il principio di proporzionalità delle pene;

d) la Cassazione ha poi evidenziato come le nuove fattispecie introdotte con il Decreto legge sicurezza tendano a criminalizzare l’esercizio di una serie di diritti civili come la libertà di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.), la libertà di riunione (art. 17 Cost.), nonché il diritto di sciopero (art. 40);

e) con specifico riferimento al nuovo reato di occupazione di immobili, la Cassazione ha evidenziato il rischio di una criminalizzazione anche dei semplici conduttori senza titolo, facendo rientrare in ambito penale situazioni che quotidianamente vengono risolte in sede civile, ossia privatamente. Invece, con riferimento alla nuova procedura di reintegrazione dell’immobile occupato e rilasciabile coattivamente a seguito di intervento delle forze dell’ordine (c.d. “sfratto di polizia”), la Cassazione ha osservato come desta perplessità la mancata previsione di un intervento in via di urgenza del P.M. prima dell’avvio della procedura, rendendo quest’ultima di fatto arbitraria. In ogni caso, osserva la Cassazione, il concetto di immobile “destinato a domicilio altrui” appare generico e non tassativo, in quanto riferito non solo alla destinazione del bene alle necessità abitative della persona offesa, ma anche eventualmente di altre persone non determinabili – parenti del proprietario o soggetti terzi. Inoltre, anche il concetto di “destinazione” del bene al domicilio risulta essere difficile da ancorare a dati oggettivi, potendo dipendere dalla volontà, eventualmente solo dichiarata, del proprietario dell’immobile di (cominciare ad) utilizzare il bene a fini abitativi (ad esempio, si potrebbe verificare un caso di occupazione a fini abitativi anche con riferimento ad un immobile utilizzato saltuariamente o di rado come “domicilio” dal proprietario, ovvero come case di vacanza o seconde case, temporaneamente sfitte). In ogni caso, osserva la Cassazione, la fattispecie potrà avere ad oggetto anche beni avente carattere pubblico, purché destinati all’uso abitativo, escludendosi così che la “destinazione a domicilio” possa riguardare immobili abbandonati o in disuso, privi di forniture elettriche o di acqua attive e/o di altri elementi idonei a soddisfare necessità quotidiane di carattere abitativo;

f) con riferimento alla nuova formulazione del reato di tutela di beni immobili adibiti all’esercizio di funzioni pubbliche (art. 639, secondo comma c.p.), la Corte di Cassazione ha espressamente riconosciuto che la riformulazione della fattispecie ha il chiaro obiettivo di criminalizzare gli attivisti di Ultima Generazione (e, aggiungiamo noi, anche di XR e FFF) che – com’è noto – per protestare contro i cambiamenti climatici prendono di mira le opere d’arte in maniera inoffensiva;

g) con riferimento al nuovo reato di rivolta carceraria, la Cassazione osserva come questa sia la norma probabilmente tra le più controverse del Decreto legge sicurezza: innanzitutto, non si fa alcun riferimento alla “legittimità degli ordini impartiti per il mantenimento dell’ordine e della sicurezza”, con il rischio di criminalizzare anche il detenuto che si rifiuta di obbedire ad un ordine ingiusto/illegale della polizia penitenziaria. Al riguardo la Cassazione considera “aberrante” che la rivolta “possa realizzarsi mediante la mera mancata esecuzione di un ordine: detto diversamente, che la rivolta possa concretarsi nel non obbedire” ad un ordine ingiusto della polizia penitenziaria. A ciò si aggiunga poi che la norma criminalizza persino la resistenza passiva, non minacciosa e non violenta, dunque di per sé non offensiva perché pacifica. Per la Cassazione si tratta di una novità senza precedenti nel nostro ordinamento penale e prospetta, al riguardo, persino una violazione dell’art. 3, secondo comma della Costituzione, ossia il principio di uguaglianza sostanziale oltre che il “principio democratico in sé considerato”, trattandosi di una ipotesi punitiva “integrante una chiara violazione dei diritti costituzionali che presidiano l’espressione della protesta” e la libertà di manifestazione del pensiero, in quanto “si assisterebbe alla compressione di un diritto fondamentale, già necessariamente limitato dallo status detentivo, a fronte di condotte connotate da scarsa offensività e asseritamente lesive di un bene giuridico dai contorni poco definitivi”;

h) con riferimento alla criminalizzazione del blocco stradale, la Cassazione fornisce da subito un’interpretazione costituzionalmente orientata di questo “nuovo” reato, osservando come “si potrebbe ritenere che la condotta di chi impedisce la libera circolazione non si sia realizzata nel caso di turbative di minima rilevanza, quale quella di porsi davanti ad un’auto tenendo uno striscione per alcuni secondi, oppure quella di realizzare con il proprio corpo un ostacolo al traffico stradale, ma che sia in concreto facilmente superabile o aggirabile con una manovra non pericolosa. Del resto, il riferimento contenuto nella norma ad una condotta di ostruzione della strada, idonea ad “impedire” la libera circolazione, impone di considerare rilevanti, ai fini della consumazione del reato, esclusivamente condotte tali da ostacolare in modo significativo la circolazione, così da cagionare una effettiva, rilevante e apprezzabile dal punto di vista temporale, turbativa al traffico stradale e ferroviario”. In ogni caso, aggiunge la Cassazione, si tratta di una fattispecie che criminalizza la libertà di riunione e la libera manifestazione del pensiero, oltre che il diritto di sciopero, con l’effetto di incidere profondamente sull’attività di pubblica manifestazione del dissenso dei consociati. Al riguardo, aggiunge la Cassazione – citando autorevole dottrina costituzionalistica (Algostino) – si incriminano indirettamente forme di protesta che, per quanto possano risultare moleste, sono sempre forme di espressione di dissenso che andrebbero affrontate sul piano del dialogo più che su quella della incriminazione, considerato che  il blocco stradale (o ferroviario) costituisce uno strumento utilizzato in occasione di scioperi o manifestazioni di protesta e come tale è un mezzo attraverso il quale si esprimono il dissenso, il disagio sociale, il conflitto nel mondo del lavoro;

i) infine, con riguardo alle norme che chiudono la filiera agroindustriale della canapa, la Cassazione osserva come esse siano pacificamente incostituzionali e in contrasto con il diritto europeo: l’improvviso divieto della raccolta delle infiorescenze di una coltura agricola autorizzata per anni, infatti, impattando su un mercato persino incentivato dalla UE, violerebbe – ad avviso della Corte – il principio di libertà di iniziativa economica privata ex art. 41 Cost., provocando gravi danni economici agli imprenditori e agli operatori coinvolti, poiché la sostanza non può essere considerata una droga ma appunto una “merce agricola”. La Cassazione, pertanto, osserva come la norma si ponga in evidente contrasto con il principio della libera circolazione delle merci all’interno dell’UE (artt. 34 e 36 TFUE) in maniera non proporzionale, “non essendovi evidenze scientifiche che provino che le infiorescenze di canapa e i derivati di varietà di canapa con un contenuto di THC inferiore allo 0,3 per cento siano una minaccia per la sicurezza e la salute pubblica”. Del resto, aggiunge la Corte, il recente Regolamento UE n. 2021/2115 annovera ed incentiva, ai fini del diritto all’aiuto finanziario, una serie di coltivazioni tra cui la pianta di Cannabis sativa, stabilendo che le superfici utilizzate per la produzione di canapa sono considerati ettari ammissibili al pagamento del contributo europeo se il tenore di tetraidrocannabinolo delle varietà coltivate non supera lo 0,3%. A ciò si aggiunga che, a livello europeo, la canapa è oggetto di normale attività di coltivazione e i prodotti ottenuti dalla stessa circolano liberamente: pertanto, osserva la Corte, è del tutto incompatibile con il diritto UE il divieto introdotto dal Decreto legge. La Cassazione, al riguardo, ricorda la sentenza della Corte di giustizia UE (Kanavape), relativa alla messa in commercio in Francia di una sigaretta elettronica il cui liquido conteneva CDB. Ebbene la Corte di Giustizia ha osservato come “gli artt. 34 e 36 TFUE devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale che vieta la commercializzazione del CBD legalmente prodotto in un altro Stato membro, qualora sia estratto dalla pianta di Cannabis sativa nella sua interezza e non soltanto dalle sue fibre e dai suoi semi, a meno che tale normativa sia idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo della tutela della salute pubblica e non ecceda quanto necessario per il suo raggiungimento”. Pertanto, eventuali provvedimenti restrittivi a tutela della salute pubblica devono basarsi su “dati scientifici disponibili” e non su “considerazioni puramente ipotetiche”. Per la Corte di Lussemburgo, infatti, la decisione di vietare la commercializzazione, “la quale costituisce, l’ostacolo più restrittivo agli scambi aventi ad oggetto prodotti legalmente fabbricati e commercializzati in altri Stati membri, può essere adottata soltanto qualora l’asserito rischio reale per la salute pubblica risulti sufficientemente dimostrato in base ai dati scientifici più recenti disponibili al momento dell’adozione di siffatta decisione” e “nell’esercizio del loro potere discrezionale in materia di tutela della salute pubblica, gli Stati membri devono rispettare il principio di proporzionalità. I mezzi che essi scelgono devono essere pertanto limitati a quanto effettivamente necessario per garantire la tutela della salute pubblica, e devono essere proporzionati all’obiettivo così perseguito, il quale non avrebbe potuto essere raggiunto con misure meno restrittive per gli scambi intracomunitari”. La Cassazione osserva, infine, come oltre all’esclusione degli effetti psicotropi del CBD, che non può essere considerato sostanza “stupefacente”, la sentenza della Corte UE riconosce in maniera univoca la natura agronomica della pianta di canapa, affermando che l’estrazione del CBD può avvenire direttamente dalla piantagione considerata nella sua interezza e non soltanto dalle sue fibre e dai suoi semi. Osserva quindi la Cassazione come “Sulla base di questo stesso principio di diritto, l’art. 18 d.l. sicurezza, nella parte in cui pone un divieto generalizzato (importazione, lavorazione – eccetto quella per la produzione agricola dei semi, – detenzione, cessione, distribuzione, commercio, trasporto, invio, spedizione, consegna, vendita al pubblico e al consumo) di prodotti costituiti da infiorescenze di canapa (anche in forma semilavorata, essiccata o triturata) o contenenti tali infiorescenze (compresi gli estratti, le resine e gli oli da esse derivati), siccome costituente misura di effetto equivalente a restrizioni quantitative delle importazioni, potrebbe risultare vietato dall’art. 34 TFUE, quindi porsi in contrasto con la disciplina unionale, come autoritativamente interpretata dalla Corte di giustizia, la quale consente ai prodotti derivati dalla canapa industriale nella sua interezza di circolare liberamente all’interno degli Stati membri ai sensi degli artt. 34 e 36 TFUE”.

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