IL DECRETO BERSANI, GLI AVVOCATI E GLI UTENTI DELLA GIUSTIZIA
Il D.L. 223/06 impone in primo luogo alcune osservazioni di metodo.
Con disappunto prendiamo atto che, con un segno di preoccupante continuità rispetto al governo precedente, si perpetua l'orientamento a legiferare mediante il ricorso allo strumento del decreto legge anche per l'assunzione di provvedimenti che non rivestono alcun carattere d'urgenza e che quindi andrebbero approvati con legge ordinaria, a mente di quella carta costituzionale che ha ricevuto dall'esito referendario conferma della sua attualità (ma questo in troppi preferiscono evidentemente dimenticarlo).
Con riferimento al merito dobbiamo osservare, se possibile ancora più preoccupati, che traspare dalle scelte operate il chiaro intento di promuovere l'imprenditorializzazione della professione dell'avvocato, intento che sottende la concezione dell'attività difensiva alla stregua di attività mercantile.
Riteniamo invece che vada ribadito il ruolo del difensore così come è descritto nel preambolo del suo codice deontologico:
"L'avvocato esercita la propria attività in piena libertà, autonomia ed indipendenza, per tutelare i diritti e gli interessi della persona, assicurando la conoscenza delle leggi e contribuendo in tal modo all'attuazione dell'ordinamento per i fini di giustizia. Nell'esercizio della sua funzione l'avvocato vigila sulla conformità delle leggi ai principi della Costituzione, nel rispetto della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e dell'Ordinamento comunitario; garantisce il diritto di libertà e sicurezza e l'inviolabilità del diritto di difesa; assicura la regolarità del giudizio e del contraddittorio. Le norma deontologiche sono essenziali per la realizzazione e la tutela di questi valori."
Riteniamo che libertà, autonomia ed indipendenza siano il presupposto indefettibile per la realizzazione degli interessi degli assistiti e per il corretto esercizio della giurisdizione; tale presupposto è polverizzato dalle norma del D.L. 223/06, che concernono:
1) la derogabilità dei minimi tariffari
L'abolizione del minimo tariffario non fornisce al cittadino maggiori garanzie e possibilità né di avere una tutela meno costosa, né di averla di una qualità migliore.
Non è possibile, peraltro, abolire il minimo tariffario senza riformare le norme che regolano il patrocinio a spese dello Stato e la liquidazione delle spese in giudizio.
E' evidente che il decreto è stato scritto senza alcun approfondimento sulla figura variegata e complessa dell'avvocatura e senza la partecipazione del Ministro della Giustizia.
2) il patto di quota lite
L'abolizione del divieto lungi dal tutelare il cittadino, gli dà invece il colpo di grazia,
offrendo la possibilità ai professionisti con meno scrupoli di taglieggiarlo a piacimento. Il meccanismo, inoltre, trasforma l'attività professionale in uno sforzo di ricerca del risultato ad ogni costo.
3) la pubblicità
Siamo al paradosso che per "tutelare il consumatore" si consente ai professionisti di gravarsi di nuovi costi, che inevitabilmente verranno alla fine scaricati sul medesimo soggetto che la norma vorrebbe tutelare. Altrettanto paradossale è che si ipotizzi che dia maggiori elementi per guidare nella scelta del professionista lo strumento pubblicitario, che invece, per definizione, persegue con modalità autoelogiative l'intento esclusivo dell'accaparramento della clientela.
4) i pagamenti
Il divieto di incassare parcelle in contanti pare assolutamente inidoneo al raggiungimento del condivisibile (e da noi ampiamente condiviso) fine di combattere l'evasione, non tiene conto della specificità della clientela di molti avvocati (si pensi anche solo alla fascia più debole costituita da quell'utenza extracomunitaria che non ha, né può avere conti correnti bancari) ed infine appare in palese contrasto con l'art. 3 della Costituzione.
5) spese di giustizia
Desta particolare preoccupazione l'aumento del contributo per l'accesso alla giustizia amministrativa, che introduce tra i cittadini una discriminazione per censo.
Le modifiche, poi, dei termini di pagamento delle spese di giustizia determinano un ulteriore disincentivo all'utilizzo del patrocinio a spese dello Stato, con compressione del diritto di difesa dei meno abbienti. Ciò è, tra l'altro, in palese contrasto con gli impegni assunti nel programma dell'Unione.
Per tali ragioni di metodo e di merito riteniamo quindi di promuovere e aderire a tutte le più opportune forme di mobilitazione.
Per tali ragioni chiediamo che il Governo e il Parlamento convochino tutte le associazioni rappresentative dell'avvocatura per riesaminare l'intera materia oggetto del decreto.
Roma, 07 luglio 2006
ASSOCIAZIONE NAZIONALE GIURISTI DEMOCRATICI
Il comunicato dell'Associazione nazionale sul decreto sulla concorrenza e la competitività.