CPT in Europa – Raffaele Miraglia e Nazzarena Zorzella

CPT in Europa – Raffaele Miraglia e Nazzarena Zorzella

L’Unione Europea per gli stranieri non è uno “spazio di libertà”: divieti, carcere, espulsioni.

Uno dei pilastri fondanti l’Unione Europea è la regolamentazione dell’accesso in Europa, della permanenza, del respingimento o espulsione degli stranieri (intesi come cittadini extra-comunitari). E’ ormai quasi banale ripetere che alla libera circolazione delle merci all’interno dell’Unione corrisponde una rigida restrizione della libera circolazione delle persone provenienti da paesi terzi (persino la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea – cosiddetta Carta di Nizza – all’art. 45 prevede che la libertà di circolazione all’interno dell’Unione per il cittadino europeo è un diritto, mentre allo straniero regolarmente soggiornante in Europa “può essere accordata”.)

Lo straniero è visto con estremo sospetto, tanto che nei testi fondamentali dell’Unione Europea viene esplicitamente accostato al criminale. Nel Trattato dell’Unione Europea, all’art. 2, vengono delineati gli obiettivi dell’Unione e al quarto posto viene fissato quello di “conservare e sviluppare l’Unione quale spazio di libertà, sicurezza e giustizia in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone insieme a misure appropriate per quanto concerne i controlli alle frontiere esterne, l’asilo, l’immigrazione, la prevenzione della criminalità e la lotta contro quest’ultima”. L’Accordo di Schengen istituisce la banca dati “Sistema d’Informazione Schengen”, che ha lo scopo di “preservare l’ordine pubblico e la sicurezza sociale … e di assicurare l’applicazione … delle disposizioni sulla circolazione delle persone”, così in un’unica banca dati vengono raccolte sia le segnalazioni relative ai ricercati, alle persone sottoposte a particolari indagini, agli oggetti da sottoporre a sequestro sia le segnalazioni relative agli stranieri.

Non stupisce, pertanto, che la legislazione europea e quella dei singoli stati quando si tratta di regolamentare la condizione dello straniero facciano ampie deroghe a principi ritenuti inderogabili e fondamentali per il cittadino comunitario. Uno dei casi più significativi è quello della restrizione della libertà personale per lo straniero che deve essere espulso e per lo straniero che chiede asilo.

LA DETENZIONE AMMINISTRATIVA

Quando nel 1998 la legge Turco-Napolitano istituisce in Italia i Centri di Permanenza Temporanea e Assistenza (dove la parola Assistenza suona così incongrua che la loro sigla, CPT, subito la elimina) altro non fa che adeguarsi ad una tendenza già fortemente radicata in altri paesi europei. E’ possibile privare per un certo periodo di tempo della libertà personale lo straniero trattenendolo in un apposito centro (o, in qualche paese, in carcere) sino a quando non sarà materialmente eseguibile l’espulsione – o si constaterà l’impossibilità di effettuarla. Lo straniero perde la propria libertà per effetto di propri comportamenti (mancanza di documenti, false indicazioni sulle proprie generalità), ma anche semplicemente quando le forze di polizia non sono in grado di eseguire subito l’espulsione per ragioni le più varie. Nei vari paesi europei la detenzione dello straniero di regola avviene in appositi centri (ma in alcuni paesi si va in carcere) e la durata della detenzione massima è molto varia (si va in genere dai quindici giorni ai sei mesi, ma si può giungere a periodi più lunghi – per esempio in Germania, dove si va in carcere, il periodo può arrivare ai diciotto mesi). In tutti i casi lo straniero ha un debole diritto ad opporsi alla detenzione e ovunque le procedure sono improntate alla massima celerità e alla compressione dei diritti di difesa. Questo in sintesi può definirsi lo stato delle cose in Europa.

La “detenzione amministrativa” viene quasi ovunque estesa anche allo straniero che fa ingresso in Europa e chiede l’asilo politico. In questo caso il periodo di detenzione è generalmente legato al periodo di esame della pratica amministrativa di riconoscimento dell’asilo. Lì dove non è prevista la detenzione esistono comunque misure che limitano le libertà del richiedente asilo e lo privano del diritto a lavorare, così da dover dipendere da terzi anche nei casi in cui la definizione delle pratiche amministrative dura periodi molto lunghi (spesso superiori all’anno). E’ evidente la tendenza ad equiparare colui che chiede asilo allo straniero che tenta di far ingresso clandestinamente nel paese. In Germania si è persino modificata la costituzione per negare il possibile riconoscimento dell’asilo a stranieri che ne avrebbero in astratto diritto e, ovunque, si tende a non riconoscere il diritto d’asilo a stranieri provenienti da paesi notoriamente a rischio (è il caso della Cecenia, per esempio, dove tutto – a sentire le autorità di alcuni paesi europei – va per il meglio).

“TORNA INDIETRO”

Ma l’espulsione è una misura non facilmente eseguibile. Devo sapere chi sei e dove posso rispedirti. Più spesso, so chi sei e dove ti devo far tornare, ma non riesco o non voglio farlo in tempi brevi (magari perchè devo economizzare nelle spese di viaggio). Nasce così quella misura preventiva che è la detenzione nei CPT o nelle carceri e che, addirittura, può essere preventiva alla decisione se l’espulsione deve o meno essere adottata (è il caso – per esempio – della Germania, dove lo straniero può essere detenuto per sei settimane in attesa della decisione sull’espulsione).

Questa “detenzione amministrativa” (così è sostanzialmente anche quando lo straniero viene detenuto in carcere e non in un centro “specializzato”) è una misura particolare, che si inscrive necessariamente nell’ambito di applicazione del principio dell’habeas corpus, principio sul quale si sono costruite le democrazie occidentali. La libertà personale può essere privata solo in casi particolari e chi perde la sua libertà ha il diritto a presentare a un giudice le proprie ragioni per riconquistare la libertà.

In tutti i paesi dell’Unione questo principio viene sostanzialmente derogato per lo straniero quando si dispone che la sua detenzione possa essere disposta anche semplicemente per la difficoltà che lo stato incontra nell’eseguire un’espulsione. La reclusione, infatti, viene disposta per esempio per “l’acquisizione di documenti per il viaggio, ovvero per l’indisponibilità di vettore o altro mezzo di trasporto” (art. 14 legge Turco-Napolitano – e disposizioni quasi identiche si trovano nella legislazione di quasi tutti i paesi dell’Unione). La conseguenza è che, per esempio, in questo momento decine di stranieri perfettamente identificati e con tanto di passaporto sono reclusi da oltre un mese in un CPT italiano. La restrizione della libertà personale è, dunque, in questi casi giustificata unicamente da disfunzioni o scelte ampiamente discrezionali di autorità amministrative e non per una esigenza di prevenzione.

DISEGUAGLIANZA CODIFICATA

Ancora più marcate sono le deroghe al diritto di difesa dello straniero detenuto in un centro (o in carcere). Ovunque i tempi per apprestare una difesa sono ristrettissimi, se non inesistenti (in Italia il difensore viene normalmente avvisato qualche ora prima del giudizio di convalida e, spesso, non può, nemmeno volendolo, parlare con il proprio assistito prima dell’udienza). Quasi ovunque il giudice decide sulla base dei soli atti forniti dall’amministrazione che ha deciso l’espulsione e la detenzione e spesso limita il proprio giudizio sulla soglia dell’astratta regolarità di questi atti senza poter entrare nel merito della decisione (esempio, è vero o no che non c’è un vettore disponibile?).

Non è un caso che proprio nei paesi europei che si sono dotati di nuove costituzioni dopo un periodo dittatoriale, costituzioni particolarmente attente a garantire i diritti inviolabili, siano sorte le maggiori difficoltà dopo l’emanazione di leggi che introducevano i CPT. In Spagna e in Italia le rispettive corti costituzionale hanno emesso sentenze interpretative, ampliando il potere di controllo del giudice e, in Spagna, limitando casi e tempi di detenzione nei CPT. In Germania si è giunti a modificare la costituzione per restringere i diritti dello straniero.

Senza tema di essere smentiti si può affermare che la “detenzione amministrativa” dello straniero in attesa di espulsione è uno dei sintomi inequivocabili del processo in atto in Europa di negazione del diritto all’eguaglianza (proprio nell’Europa dell’egalitè, fraternitè e solidaritè). L’uguaglianza formale è assicurata solo ai cittadini europei, la diseguaglianza viene codificata: l’europeo è diverso dallo straniero. Tant’è che un cittadino dell’Unione Europea che deve essere espulso da un paese dell’Unione e rimandato nel proprio paese di provenienza non può mai, per legge, finire in un CPT. Per lui (noi) valgono ancora certi principi e certi diritti, che vengono negati a chi ha avuto la sventura di nascere fuori dalla “fortezza”.

Raffaele Miraglia e Nazzarena Zorzella

Commenti

Una risposta a “CPT in Europa – Raffaele Miraglia e Nazzarena Zorzella”

  1. Avatar Redazione
    Redazione

    È dalla detenzione amministrativa che occorre ripartire per un’analisi
    complessiva delle politiche in tema di immigrazione adottate nel nostro
    Paese (e non solo in esso), politiche che, alla resa dei conti e pur nelle
    diversità delle normative succedutesi negli anni, hanno prodotto
    clandestinità: non hanno saputo governare i flussi di ingresso, come è
    dimostrato dal fatto che la grande maggioranza dei cittadini stranieri oggi
    regolarmente soggiornanti in Italia ha acquisito questa condizione di
    legalità solo grazie alle varie sanatorie; non hanno saputo riassorbire
    quote di irregolarità, prevedendo meccanismi di regolarizzazione permanente
    degli ingressi o dei soggiorni irregolari fondati, ad esempio, sul decorso
    del tempo e sulla valorizzazione di comportamenti virtuosi; infine, non
    hanno saputo gestire l’irregolarità con strumenti flessibili, ma hanno
    attribuito un ruolo di assoluta centralità all’espulsione, ossia alla misura
    di gran lunga più costosa, sia per quanto riguarda le ricadute sui diritti
    fondamentali dello straniero, sia con riferimento all’impegno degli apparati
    pubblici.

    E nella ricerca della impossibile effettività dei provvedimenti di
    allontanamento, gli strumenti esecutivi si sono moltiplicati con ricadute
    sempre più pesanti sulla libertà personale dei migranti: così, la legge
    Napolitano – Turco ha introdotto i centri di permanenza per gli stranieri
    destinatari di provvedimenti di espulsione, mentre la legge Bossi – Fini ha
    raddoppiato la durata della detenzione amministrativa, stabilendo forme di
    trattenimento anche per i richiedenti asilo.

    Proiettata sull’analisi delle politiche migratorie, di segno sostanzialmente
    proibizionisticico, la detenzione amministrativa rivela il suo volto più
    autentico: una forma di segregazione legata ad una condizione individuale,
    la condizione di migrante. E rivela il suo rappresentare un modello di
    politica del diritto, un modello destinato ad essere applicato anche agli
    autoctoni: il diritto speciale dei migranti segnala allora le tensioni
    profonde che attraversano quel legame tra sacralità dei diritti della
    persona e democrazia che rappresenta l’eredità più alta del
    costituzionalismo del secondo dopoguerra.

    Guardiamo alla detenzione amministrativa come ad una minaccia per i diritti
    fondamentali di tutte le persone, perché, parafrasando lo slogan delle
    manifestazioni per i diritti dei migranti, siamo tutti a rischio
    clandestinizzazione. Guardiamo all’immigrazione come alla vera questione
    delle democrazie contemporanee.

    Roma, 30 gennaio 2004

    Livio Pepino (presidente di Magistratura democratica)
    Angelo Caputo (responsabile settore immigrazione di Md