Sulla sentenza del 1 agosto della Corte di Giustizia dell’Unione Europea in merito alla designazion di un paese terzo come “paese d’origine sicura” proponiamo un commento dell’Avvocata Margherita D’Andrea dell’esecutivo dei Giuristi Democratici. Il pronunciamento nasce da due domande di pronuncia pregiudiziale sollevate dal Tribunale ordinario di Roma relative a due cittadini della Repubblica popolare del Bangladesh che hanno richiesto protezione internazionale dopo essere stati soccorsi in mare dalle autorità italiane e condotti in un Centro di permanenza in Albania.
- Perché c’è soddisfazione per la decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 1 agosto?
Perché sottolinea un principio essenziale per una tutela effettiva dei diritti umani e cioè che il rischio che correrebbero persone richiedenti asilo di essere uccise, o torturate, o ridotte in schiavitù, se rimpatriate, non può essere negato in astratto, solo perché il Paese è stato definito sicuro attraverso un atto legislativo.
Al contrario, la designazione da parte di uno Stato membro di un Paese terzo come di origine sicuro deve poter essere oggetto di un controllo giurisdizionale, con una valutazione in concreto di tutti gli elementi del caso, sia legati alla storia individuale, sia legati alla situazione geopolitica e sociale del territorio. Questo, indipendentemente dall’inclusione dello stesso nella lista stilata dal legislatore, che deve poter essere discussa e contestata nel processo, garantendo al giudice e alle parti l’accessibilità delle fonti di informazione su cui si basa la designazione di “Paese di origine sicuro”. Se quindi la norma nazionale sarà ritenuta in contrasto con quella europea, il giudice avrà un potere di disapplicazione, nel pieno rispetto del principio della separazione dei poteri.
In più, la Corte conferma che uno Stato membro non può designare un Paese come sicuro, se le condizioni di sicurezza non siano garantite a tutta la popolazione. E’ un principio chiaro. Con la fine del nazifascismo gli Stati si sono impegnati a garantire i diritti umani a livello universale e non solo ai propri cittadini, auto-limitando la sovranità nazionale con la sottoscrizione di convenzioni internazionali come quella di Ginevra. Dichiarare quindi come ha fatto il governo che questa pronuncia viola la sovranità nazionale è giuridicamente scorretto.
- Cosa cambia per i migranti?
La pronuncia è di fatto uno stop al modello Albania, che consentiva sotto la giurisdizione italiana il trasferimento accelerato di richiedenti asilo soccorsi in mare verso l’ex base militare di Gjadër, basandolo sulla presunzione di sicurezza di alcuni Paesi terzi come Tunisia, Egitto, Bangladesh.
E’ la logica colonialista dei “carichi residuali” di Piantedosi, e infatti parliamo di persone messe scientemente in una condizione di inferiorità giuridica, senza un controllo giudiziario, senza trasparenza e senza un’accessibilità effettiva alla documentazione, con la violazione palese del diritto di difesa.
La Corte ha stabilito che questo modello è incompatibile con il diritto dell’Unione Europea. Peraltro, dopo le prime mancate convalide da parte dell’autorità giudiziaria, il Protocollo Italia-Albania prevederebbe ora il trasferimento forzato di persone trattenute nei CPR italiani, che aspettano cioè di essere espulse. Ma è chiaro che la pronuncia della Corte di Giustizia ha di fatto bloccato ogni possibilità di attuazione pratica. Almeno per il momento.
- Esponenti politici del governo affermano che questa sentenza avrà una breve durata perché poi ci sarà il nuovo regolamento europeo in materia di asilo… Cosa vuol dire?
E’ vero che il sistema europeo comune di asilo cambierà radicalmente nel corso del prossimo anno, quando avremo la piena applicazione del nuovo Patto su migrazione e asilo. La riforma produrrà una trasformazione profonda del quadro giuridico, con il rischio di comprimere ancora la protezione internazionale.
In un saggio di quest’anno che ho scritto in un collettaneo sul tema, curato da Adele del Guercio e Francesca Rondine, ho provato a evidenziare il paradosso apparente di un diritto che diventa da una parte sempre più iper-semplificato, con la rimozione progressiva nel campo dell’economia di regole che limitano la libertà di azione degli individui (basti pensare alla speculazione immobiliare e al “modello Milano” di questi giorni); e dall’altra, nel campo dei diritti fondamentali, iper-regolamentato, ma attraverso riforme sempre più caotiche e contraddittorie, con enormi difficoltà per avvocate e operatori del diritto di stare al passo.
Questo “diritto eccessivo” sui diritti fondamentali riguarda non solo l’Italia ma anche l’Europa, sempre più chiusa e votata alla difesa dei confini. Il nuovo regolamento europeo sta purtroppo in questo solco. Un obiettivo principale è la diminuzione drastica delle possibilità per i richiedenti di alcuni paesi di ottenere una forma di protezione internazionale, attraverso un esame compiuto di merito. Quindi la Corte deve precisare che il principio per cui uno Stato membro non può designare come paese di origine sicuro un paese terzo che non soddisfi, per alcune categorie di persone, le condizioni sostanziali della designazione, vale fino alla piena applicazione del nuovo Patto, che conterrà alcune eccezioni per categorie di persone chiaramente identificabili. In ogni caso, uno stato di diritto non può prescindere dal rispetto del regime dei diritti umani. Dunque, la battaglia sul diritto e per i diritti non finisce certo nel 2026.