Nel carcere di San Gimignano c’è stata tortura di stato – Intervista con l’Avv. Simonetta Crisci

Nel carcere di San Gimignano c’è stata tortura di stato – Intervista con l’Avv. Simonetta Crisci

Continuiamo gli approfondimenti dedicati alle violenze nelle carceri. Dopo l’intervista con l’Avv. Luigi Romano sul complesso iter giudiziario a seguito delle violenze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere proponiamo un approfondimento con l’Avv. Simonetta Crisci sul processo seguito alle violenze del 2018 nel carcere di San Gimignano.

Si tratta del primo processo in cui con la sentenza in primo grado a Siena nel 2023 e in appello a Firenze nel 2025 è stato riconosciuto il reato di tortura di stato, previsto dall’art. 613 bis co. 2 c.p., contro agenti penitenziari per violenze contro detenuti.

L’episodio di cui ci occupiamo è avvenuto nel carcere di San Gimignano. Di che carcere si tratta?

Il carcere di San Gimignano è in Toscana, vicino Firenze. Non è tra i carceri più nominati ma ha delle criticità molto forti: sovraffollamento e la presenza di un reparto “speciale” per il regime di isolamento di triste nomea. L’episodio di cui ci occupiamo non è una rarità. Analoghe situazione avvengono purtroppo in tanti altri carceri come a Cuneo nel 2023 o a Modena e Santa Maria Capua Vetere dove si cercò di giustificare le violenze con il clima di tensione del periodo del Covid. Si tratta di sintomi gravissimi della crisi strutturale della concezione del carcere come luogo di pena invece che come luogo di riabilitazione, come luogo della cultura del controllo dove è più facile che avvengano simili fatti.

  • Cosa è successo nel carcere di San Gimignano nell’ottobre 2018?

Tutto è cominciato quando è stato organizzato il trasferimento di un detenuto fisicamente molto labile e debole da una cella a un’altra. Nel processo le guardie, che sono state incriminate, hanno detto che siccome dovevano trasferirlo da una cella all’altra sono andati a prenderlo. Peccato che un semplice trasferimento sia diventato un’operazione organizzata di 15-16 persone tra dirigenti e guardie semplici che sono andate nella cella di questo ragazzo nel reparto di isolamento. Tra l’altro questo ragazzo era stato messo lì per volontà di un capo delle guardie, che senza Consiglio di disciplina aveva preso questa decisione. Non c’era ragione che stesse lì, poverino, isolato, senza parlare con nessuno ed infatti voleva tornare in un reparto normale e si lamentava. Per fare questa operazione di trasferimento hanno messo degli uomini a  controllare le telecamere, ma non ci sono riusciti visto che il filmato di quanto è avvenuto è stato fondamentale assieme alle testimonianze per far emerger la verità su quello che è successo. Il processo nasce dalle denunce di altri detenuti che hanno visto picchiare il ragazzo nei corridoi, hanno visto che lo trascinavano per terra togliendogli addirittura i vestiti, che l’hanno sbattuto in un’altra cella dove poi sono entrate delle guardie. I detenuti delle altre celle hanno sentito i colpi delle violenze esercitate contro il ragazzo e ne hanno sentito i lamenti. Probabilmente non era la prima volta che succedevano cose del genere. Alcuni detenuti fanno una denuncia e chiesto l’attenzione del Garante dei detenuti. Così è nata l’inchiesta a cui è seguito il processo.

  • Praticamente il ragazzo è stato picchiato mentre lo trasferivano da una cella all’altra, altri detenuti se ne sono accorti ed invece di stare zitti hanno chiamato il Garante per segnalare l’accaduto?

Uno dei detenuti ha anche urlato “basta, smettetela” ma le guardie gli hanno dato un pugno in faccia. La versione delle guardie è che il detenuto avrebbe sputato contro di loro e perciò avrebbero messo una mano sullo spioncino per coprirsi dallo spunto. La versione non ha retto e sono stati condannati anche per questo episodio. La prima a sapere della denuncia dei detenuti è stata la psicologa del carcere, che ne ha parlato al direttore. A questo punto vengono fatte delle relazioni di servizio non solo in ritardo ma anche scritte per falsificare l’accaduto.

  • A questo punto è partito il procedimento?

Sono stati interrogati tutti quelli che potevano sapere qualcosa compresi i detenuti che hanno fatto la denuncia. Si è aperto così il procedimento che poi è andato avanti. Sono stati acquisiti i filmati delle  telecamere da cui si vedeva chiaramente cosa era successo. La difesa delle guardie carcerarie è stata che si erano organizzate per il trasferimento perchè quel detenuto era un po’ pericoloso, senza ovviamente spiegare cosa significasse. Al detenuto, intanto trasferito in un altro carcere dove avrebbe dovuto essere curato non per i traumi subiti nell’aggressione ma in generale, è stato riconosciuto dai giudici, secondo l’articolo 613 bis, che l’aggravamento del suo stato psichico dipendeva proprio da quanto gli era successo a San Gimignano.

  • Fermiamoci proprio sull’articolo 613 bis co. 2 c.p., riconosciuto in questo processo. Puoi dirci la sua specificità?

E’ l’articolo di tortura di stato. Una forma autonoma di reato che è stato aggiunto a quello generico che dice che chiunque punisce con violenza o minacce gravi o con crudeltà chiunque viene condannato. Nella specificazione di tortura di stato uno dei criteri basilare è proprio chi esercita la violenza. In questo caso l’agente penitenziario in quanto pubblico ufficiale. La qualità della persona che attua con più condotte un trattamento inumano, degradante, contro la dignità di una persona privata della libertà, qualifica la tortura di stato.

  • Torniamo al caso di San Gimignano. La Procura decide di avviare il procedimento usando proprio il reato di tortura di Stato, ci sono  anche costituzioni di parte civile?

Sì, io partecipo al processo perchè ho curato la costituzione di parte civile dell’Associazione Yairaiha Onlus, la prima che ha mandato in Procura un esposto. Per cui riassumendo: i detenuti denunciano, altre associazioni appoggiano, costituendosi parte civile oltre al Garante e si avvia il processo sulla base dei filmati e delle testimonianze. I giudici hanno analizzato tutte le specificità proprio del reato di tortura di stato. In altri processi essere un pubblico ufficiale potrebbe essere un’aggravante ma qui è alla base del reato contestato. La tortura di Stato viene individuata proprio con l’elemento che è il pubblico ufficiale che usa, abusa dei poteri in violazione dei doveri di persona che rappresenta lo Stato. Si viene condannati anche per il fatto di aver creato un pregiudizio verso la pubblica amministrazione: chi sente che un pubblico ufficiale picchia la gente, tra l’altro detenuta quindi impossibilitata a difendersi, vede nello stato un nemico, vede riflessa una immagine negativa dello Stato. 

  • Quanti sono gli agenti penitenziari coinvolti?

In tutto circa una quindicina ma alcuni hanno fatto rito abbreviato e sono stati condannati  con pene minori, dai tre ai quattro anni. Cinque sono rimasti nel processo.

  • Come è andato l’iter processuale?

Presso il Tribunale di Siena nel marzo 2023 in primo grado c’è stata la condanna di circa sei anni per gli agenti imputati. Nell’aprile 2025 c’è stata la conferma della condanna nel processo d’Appello presso la Corte di Firenze e le motivazioni sono state depositate pochi giorni fa. Nella sentenza d’Appello c’è stata l’applicazione di attenuanti.

  • Attenuanti in Appello?

Nell’Appello c’è stata la richiesta del Procuratore Generale di attenuanti generiche prevalenti che sono state applicate. Sinceramente non abbiamo capito le motivazioni. Un conto è chiedere le attenuanti perchè ad esempio una guardia è stata obbligata a fare una certa cosa dal suo superiore che lo ha ricattato minacciandolo di trasferimento o altro o promettendogli un avanzamento di carriera, ma in questo caso nessuno ha parlato di situazioni simili. Tutti hanno partecipato volontariamente: sono stati chiamati e sono andati, nessuno è stato minacciato da un superiore.

  • La cosa importante è che anche in Appello è stato riconosciuto il reato di tortura di stato.

Sì, questa è la prima condanna in cui è stato applicato il reato di tortura di stato, prima a Siena e adesso nell’appello a Firenze che l’ha confermato.  E’ una cosa importante perchè in altri casi, come mi pare a Cuneo, sono state riconosciute lesioni gravi ma è stata tolta la tortura. Spesso succede che i giudici derubricano il reato di tortura che invece va riconosciuto in questi casi proprio per la qualifica come pubblico ufficiale di chi commette il reato contro persone detenute.

C’è un nesso tra l’alto tasso di suicidi nelle carceri e le condizioni di detenzione. Questo nesso è dato anche da comportamenti come quelli messi in atto a San Gimignano. C’è un costante divario tra episodi di questo tipo e l’articolo 27 che dice che la pena dipende dalla riabilitazione del condannato. La cultura del controllo, fatta di sovraffollamento, tolleranza zero, episodi di violenza creano una condizione di fatto insostenibile che porta drammaticamente all’aumento dei suicidi. L’istituzione totale leva la dignità della vita.

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