Separazione delle carriere o cultura della giurisdizione?

Separazione delle carriere o cultura della giurisdizione?

Pubblichiamo un contributo al dibattito dell’avv. Roberto Lamacchia, co- Presidente della nostra associazione, su un tema ancora aperto e che vede, anche tra di noi, posizioni diverse e articolate, come invito alla discussione ed all’approfondimento, rimanendo in ascolto ed in attesa di altri interventi

La questione della separazione delle carriere mi opprime da 30 anni e da 30 anni cerco di portare il ragionamento su una base di valutazione laica e priva di preconcetti ideologici sul tema; a quell’epoca, esisteva un organismo degli avvocati denominato OUA he riteneva di avere la rappresentanza della categoria e sosteneva con vigore la separazione delle carriere; ricordo assemblee molto partecipate in cui si discuteva animatamente del problema.

Ricordo che si sosteneva che quella riforma fosse, così si diceva, la panacea di ogni male della giustizia.

La riforma, come è noto, in allora non passò e la OUA, che altro non era che un’associazione di avvocati esattamente come quella dei Giuristi Democratici che rappresentavo e rappresento, si estinse.

Si sosteneva allora che quella riforma avrebbe consentito di pervenire ad una giustizia giusta e la riforma dell’art. 111 della Costituzione veniva utilizzata proprio nel senso di richiedere un processo tra parti paritarie, avanti ad un giudice terzo evitando, così, quelle eccessive vicinanze tra PM e Giudici che a volte potevano inquinare la decisione finale.

Da allora, molte cose sono cambiate, ma ciò che è restato fermo è il desiderio di rivincita della destra che vuole sfruttare il momento politico a lei favorevole per fare passare una riforma che ha perso per strada molte delle sue ragioni di vita (quelle formalmente dichiarate).

Dicevo che molte cose sono cambiate in questi 30 anni di storia: in primo luogo, a seguito di vari interventi normativi, la separazione delle funzioni, compresa all’interno della separazione delle carriere, è stata attuata in maniera quasi totale: e se già prima, quanto meno negli ultimi anni, il numero di soggetti che chiedeva di passare da una funzione all’altra era divenuto irrisorio, oggi detta possibilità si è ristretta ad una sola possibilità per ogni magistrato, di esercitare la scelta nei primi anni di carriera.

Dunque, il rischio di vedere un magistrato-PM passare a magistrato-giudice è diventato una rarissima avis.

A ciò si aggiunga che nel tempo, il numero di richieste dei PM respinte dai Giudici si è notevolmente accresciuto, onde oggi si può calcolare che circa un 40% delle richieste dei PM venga accolto dai Giudici, con il che rendendo sempre meno sostenibile quella vicinanza dovuta alla comune carriera che avrebbe (ed in molti casi, in passato, ha) inquinato l’esito dei processi.

In tutti questi anni, poi, è totalmente mancato qualsiasi riferimento a conseguenze positive che la separazione delle carriere avrebbe sulla durata dei processi; in che cosa la separazione avrebbe consentito un’accelerazione dei tempi dei processi? Né allora, né oggi, si é fornita una risposta alla domanda.

Si sostiene che la comunanza di carriera e logistica (c’è infatti chi sostiene che si dovrebbero anche separare le sedi di Tribunale e di procura: io rispondo che, allora, bisognerebbe creare anche un palazzo per le difese!) porterebbe come conseguenza un asservimento dei giudici allo strapotere dei PM mediaticamente più forti. Ma ciò non sarebbe impedito se le carriere fossero due. Ed anzi, si rischia un’ulteriore sovrapposizione mediatica dei PM non più intralciati da regole comuni deontologiche che finirebbe per pesare, anche a livello inconscio, sui giudici, premuti dall’opinione pubblica condizionata dalla forza mediatica dei PM.

Ciò che deve essere garantito è che tutti i magistrati, ed anche gli avvocati, partano da un comune terreno di “gioco”, una condivisa visione della giurisdizione. In questo impianto, poi, occorre creare un rigido e serio controllo da parte della magistratura giudicante sull’operato del pubblico ministero. Questo controllo è sovente mancato in questi anni, ma certo non è la separazione delle carriere che lo renderebbe più agevole. Servirebbe, invece, un senso di responsabilità e di vera indipendenza di ogni magistrato, oggi spesso mancante.

Dunque, il vero scopo  della richiesta di separazione delle carriere non può essere quello cui ho accennato, in buona misura superato; Ma è un obiettivo ben diverso e assolutamente pericoloso: si vuole attaccare la divisione dei poteri, prevista dalla nostra Costituzione, rendendo il PM asservito al potere esecutivo.

So bene che il Ministro Nordio (e con lui buona parte dei proponenti) nega tale eventualità: peraltro, il Ministro si limita a dire “finché ci sarò io, il PM non sarà sotto il potere esecutivo”. E va bene, fingiamo di credergli, ma i Ministri vanno e vengono, caro Nordio,  ed un nuovo Ministro potrebbe portare avanti la conclusione, a mio giudizio scontata, che porta alla trasformazione  del ruolo del PM  in quello di avvocato della Polizia.

Si tratta, in definitiva di un tentativo  di scardinare la magistratura, definita dalla costituzione “ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere” in un organo asservito al potere esecutivo.

A ciò si deve aggiungere che il venir meno di quel comune terreno di gioco, rappresentato dalla cultura della giurisdizione finisce per trasformare anche l’habitus del PM che  non avrà più il compito voluto dalla legge di ricercare anche gli elementi a favore dell’imputato, ma ricercherà con assoluta determinazione la condanna dell’imputato.

Dunque, addio alla cultura della giurisdizione, lo dice espressamente Greco, per approdare ad una non meglio definita “cultura della legalità” comune tra tutte le parti del processo, anche al difensore, e di conseguenza di maggior tutela per i cittadini; francamente, non mi é chiara la differenza, ma resta il fatto che un PM separato dal giudice diverrebbe una sorta di avvocato della Polizia, con intenti diversi da quelli dell’accertamento della verità processuale, sino ad oggi compito del “giusto processo”.

Dunque, ragioniamo laicamente e rappresentiamo ai cittadini i pro (non ne vedo) ed i contro della riforma,

Roberto Lamacchia