Il 5 e 6 febbario 2025 a Bruxelles si è riunita la 54° Sessione del Tribunale Permanente dei Popoli sulla Rojava.
La sessione è stata richiesta da nove tra organizzazioni internazionali per i diritti umani, organismi dell’Amministrazione Autonoma del Nord Est della Siria (DANEES) e la Libera Università di Brussels, per decidere sulla base delle prove raccolte e delle testimonianze ascoltate sui crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi da alti funzionari turchi e dalle forze militari e paramilitari nel corso dell’invasione militare di Afrin iniziata nel gennaio 2018. Il cantone di Afrin attua come parte della regione curda del Rojava sin dal 2012 una forma di democrazia diretta, alla quale partecipano i diversi gruppi etnici che coabitano pacificamente l’area.
Una delegazione dei Giuristi Democratici ha partecipato alla sessione. Vi proponiamo un primo commento dell’importante iniziativa con l’Avvocata Margherita D’Andrea, dell’Esecutivo GD, di ritorno da Bruxelles.
“Il Tribunale Permanente dei Popoli ha un ruolo di advocacy internazionale cruciale. Nel caso del Rojava ha agito in primo luogo perché sia riconosciuta l’esistenza giuridica della DANEES e il diritto di autodeterminazione di un popolo, quello curdo, che abita pacificamente un territorio multietnico, autogovernandosi secondo i principi del Confederalismo democratico teorizzato da Ocalan, un’esperienza che si regge su valori come l’eguaglianza, la giustizia sociale, l’emancipazione femminile.
Si è trattato di prendere in carico la necessità di testimoniare e dare visibilità internazionale alle gravi e terribili violazioni dei diritti umani troppo spesso nascoste sotto la coltre di una intollerabile realpolitik che permea le relazioni con il governo turco (basta pensare agli accordi con l’UE sulla gestione dei migranti).
Le stesse violazioni dei diritti umani che sono state sempre negate dai tribunali domestici, che non godono della necessaria indipendenza né in Turchia né nelle zone occupate illegalmente.
A Bruxelles si è trattato cioè di costruire una tribuna per dire la verità contro l’impunità, come abbiamo sentito pronunciare in apertura della Sessione.
Le testimonianze e le diverse prove documentali e in video che sono state raccolte dal Collegio dell’accusa raccontano di una situazione agghiacciante.
L’occupazione del Cantone di Afrin in Siria nel gennaio 2018 da parte della Turchia e con l’aiuto di forze jiahdiste costituisce un crimine di aggressione secondo la risoluzione 3314 del 1974 adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Un’aggressione che è tale non solo quando compiuta contro uno stato sovrano ma anche quando compiuta contro gli individui e la popolazione civile.
Quello che è emerso nel corso delle audizioni dei testimoni è che dal 2018 in Rojava è in atto un sistematico e pervicace tentativo di sradicare il popolo curdo dalla propria terra, di distruggerne non solo la vita ma l’identità, la cultura, l’economia, per esempio la produzione di olio di oliva, costringendo migliaia di persone a fuggire.
Un tentativo che è stato definito dal Collegio dell’accusa proprio di una vera e propria ingegneria demografica, al fine di attuare una politica di sostituzione nell’area del Nord Est Siria dei curdi con popolazioni arabe sunnite e turcomanne, spesso a propria volta in fuga a causa della guerra civile.
Ad Afrin la popolazione curda è passata così da oltre il 90% al 25% e il numero di sfollati dal Rojava è stimato in 300.000 persone.
Abbiamo ascoltato testimonianze terribili e visto video di attacchi indiscriminati su civili, come per esempio a Tel Rifaat nel dicembre 2019, in cui sono morti 8 bambini che giocavano nei pressi di una scuola, oltre a numerosi altri feriti.
Ci sono prove evidenti della distruzione attraverso bombardamenti deliberati da parte della Turchia di risorse vitali, come le infrastrutture per l’elettricità, il gas, il petrolio, che hanno portato alla mancanza di combustibile e di acqua pulita con danni ambientali, bruciando materiali tossici, e alla salute dei civili nei villaggi, nei campi profughi, negli ospedali.
Nel corso della seconda giornata abbiamo assistito a testimonianze coraggiose e drammatiche da parte delle vittime sugli stupri politici compiuti nelle prigioni di Afrin a donne arrestate perché curde.
Va detto che gli stupri e i femminicidi compiuti o ordinati da funzionari turchi sono politici perché costituiscono non solo crimini verso le singole persone, ma tentativi deliberati di colpire attraverso i corpi delle donne uno degli assi portanti della rivoluzione del Rojava, e cioè la loro emancipazione e il ruolo politico centrale nell’attuazione del Confederalismo democratico.
La recente caduta di Assad (torturatore anche della popolazione curda) è un ulteriore grave fattore destabilizzante.
È quindi fondamentale che gli stati così come le organizzazioni internazionali riconoscano la DAANES, l’Amministrazione Autonoma della Siria del Nord-Est, come un soggetto di diritto e un territorio autogovernato. Un soggetto che non minaccia l’integrità della Siria e che ha anzi avuto un ruolo centrale, vale la pena ricordarlo, nella lotta contro l’Isis al fianco delle democrazie occidentali, una lotta portata avanti dalle milizie Ypg e Ypj, queste ultime composte da donne. Il Tribunale Permanente ha assunto uno statement preliminare molto forte che riconosce tutto questo sulla base di evidenze probatorie incontrovertibili. I giudici hanno scritto che la comunità internazionale è consapevole delle continue sofferenze del popolo curdo e dei crimini degli imputati.
Imputati ai quali è stata d’altra parte notificata l’informazione di questa sessione attraverso le autorità diplomatiche per potersi difendere nel processo, ma senza ottenere risposta.
E’ fondamentale che i responsabili dei crimini di guerra e crimini contro l’umanità contro il popolo curdo siano portati davanti alla giustizia ed è fondamentale che la comunità internazionale assicuri immediatamente la cessazione degli attacchi della Turchia, diretti ed indiretti, in Rojava.
Questo al fine di scongiurare il rischio di un vero e proprio genocidio, una dichiarazione, questa in chiusura dello statement, importante e non scontata.
Come Giuristi Democratici siamo e saremo al fianco del popolo curdo. Personalmente, sono convinta che il Tribunale Permanente dei Popoli abbia un ruolo essenziale contro il crimine del silenzio, come già il Tribunale Russell sui crimini in Vietnamaveva detto negli anni Sessanta. Il crimine del silenzio perpetrato nei confronti delle minoranze e dei popoli oppressi si compie ad esempio nei processi politici, dove questi, anche quando i sistemi e i governi si autodefiniscono democratici, non hanno in realtà alcuna voce e alcun diritto di difesa. Il tribunale è allora un contrappeso di questa ingiustizia.“
Commenti
Una risposta a “Commento dell’Avv. Margherita D’Andrea di ritorno dal TPP sulla Rojava”
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