T.A.R. Veneto sulle Unioni Civili

T.A.R. Veneto sulle Unioni Civili

Ric. n. 257/2007 Sent. n.2786/07

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, prima sezione, con

l’intervento dei signori:

Bruno Amoroso Presidente

Italo Franco Consigliere

Fulvio Rocco Consigliere, estensore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso R.G. 257/2007, proposto dall’Avv. Artini Giovanni, rappresentato e difeso in proprio, nonché dall’Avv. Ivone Cacciavillani, con elezione di domicilio in Venezia presso la Segreteria della Sezione, a’

sensi e per gli effetti dell’art. 35 del T.U. approvato con R.D. 26 giugno 1924 n. 1054,

contro

il Comune di Padova, in persona del Sindaco pro tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avv. Carlo De Simoni, dall’Avv. Alessandra Montobbio, dall’Avv. Vincenzo Tizzoni, dall’Avv. Marina Lotto, dall’Avv. Paolo Bernardi, dall’Avv. Alberto Bicocche e dall’Avv. Paolo Munari, tutti dell’Avvocatura Civica, con elezione di domicilio in Venezia presso la Segreteria della Sezione, a’ sensi e per gli effetti dell’art. 35

del T.U. approvato con R.D. 26 giugno 1924 n. 1054, e nei confronti di Bonomo Stefano, non costituitosi in giudizio,

per l’annullamento

della deliberazione del Consiglio Comunale di Padova n. 108 dd. 4 dicembre 2006, avente per oggetto: “mozione a sostegno del riconoscimento di diritti alle persone che vivono in convivenze non matrimoniali”, per quanto possa ad essa riconoscersi un contenuto provvedimentale; del provvedimento del Sindaco di Padova Prot. n. 30125 dd. 1 febbraio 2007 laddove – tra l’altro – si dispone che gli Ufficiali dell’anagrafe provvedano al rilascio, sui presupposti ivi elencati, della “attestazione di iscrizione

nell’anagrafe della popolazione quale famiglia anagrafica costituita da persone coabitanti legate da vincoli affettivi”; degli allegati di tale provvedimento, rappresentati dai moduli annessi e – segnatamente – dal passo di quello predisposto per la dichiarazione dei richiedenti nella parte in cui legittima a chiedere e ad ottenere l’attestazione anzidetta le persone “residenti o richiedenti la residenza a Padova”.

Visto il ricorso con i relativi allegati, notificato il 9 febbraio 2007 e depositato il 10 febbraio 2007;

visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Padova;

viste le memorie prodotte dalle parti;

visti gli atti tutti di causa;

uditi nella pubblica udienza del 5 luglio 2007 (relatore il consigliere Fulvio Rocco) l’Avv. I. Cacciavillani per il ricorrente e l’Avv. A. Montobbio per il Comune di Padova;

ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

FATTO E DIRITTO

1.1. Il Consiglio Comunale di Padova, previa illustrazione di una relazione da parte del Consigliere Alessandro Zan, ha approvato la deliberazione n. 108 dd. 4 dicembre 2006 (presenti 36 consiglieri su 40, favorevoli 26,

contrari 7, astenuti 1, non votanti 2), del seguente tenore:”Premesso che:

I. Compito di questa amministrazione e del governo è di fare una politica coerente ed organica per la famiglia così come definita

dall’art. 29 della Costituzione: “la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio” II. Compito

di questa amministrazione e del governo è di garantire alle persone i diritti civili e sociali (come sancito dall’articolo 2 e 3 della Costituzione), senza discriminare coloro che affidano i propri progetti di vita a forme diverse di convivenza, siano esse tra persone di sesso diverso o dello stesso sesso; III. Il riconoscimento di tali diritti non intende

modificare o alterare il riconoscimento e l’importanza della famiglia fondata sul matrimonio. Tenuto conto che la L. 24 dicembre 1954 n. 1228, “Ordinamento anagrafico della popolazione residente”, all’art. 1 prevede che l’anagrafe della popolazione residente deve essere tenuta registrando “le posizioni relative alle singole persone, alle famiglie e alle convivenze”;

che il D.P.R. 30 maggio 1989 n. 223, Regolamento d’esecuzione della predetta

legge, all’art. 1 specifica che “l’anagrafe è costituita da schede individuali, di famiglia e di convivenza”.

Evidenziato che l’art. 4 dello stesso Regolamento d’esecuzione, rubricato “Famiglia anagrafica”, riconosce che “agli

effetti anagrafici, per famiglia si intende un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozioni, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso Comune”. Visto che l’art. 33 dello stesso Comune stabilisce che l’ufficiale di anagrafe deve rilasciare certificati anagrafici relativi allo stato di famiglia e che ogni altra posizione desumibile dagli atti anagrafici “può essere attestata o certificata, qualora non vi ostino gravi o particolari esigenze di pubblico interesse, dall’ufficiale di anagrafe d’ordine del Sindaco”, impegna il Sindaco e la Giunta Comunale: A) ad istruire l’Ufficio anagrafe, affinchè rilasci alle famiglie anagrafiche che ne facciano richiesta, ai sensi dell’art. 33, comma 2, del D.P.R. 30 maggio 1989 (n. 223) l’ “Attestazione di famiglia anagrafica

basata su vincoli di matrimonio o parentela o affinità o adozioni o tutela o vincoli affettivi” (come riconosce l’art. 4 dello stesso Regolamento d’esecuzione), quale pubblica attestazione delle risultanze delle schede di famiglia tenute ai sensi dell’art. 21 D.P.R. 30 maggio 1989; B) a predisporre la relativa modulistica; c) a sollecitare il Parlamento, attraverso i Presidenti di Camera e Senato,

affinchè affronti il tema del riconoscimento giuridico di diritti, doveri, e facoltà alle persone che fanno parte delle unioni di

fatto”.

1.2. In esecuzione a tale deliberazione, il Sindaco di Padova ha quindi emanato il provvedimento Prot. n. 30125 dd. 1 febbraio 2007 il Sindaco di Padova, del seguente tenore “Il Sindaco, vista la L. 24 dicembre 1954 n. 1228 e gli articoli 4 e 21 del Regolamento anagrafico approvato con D.P.R.

30 maggio 1989 n. 223; vista la “mozione a sostegno del riconoscimento di diritti alle persone che vivono in convivenze non matrimoniali”, approvata dal Consiglio Comunale in data 4 dicembre 2006, dispone che gli Uffici delegati all’anagrafe seguano le

seguenti indicazioni: 1. All’atto della richiesta di costituzione di famiglia anagrafica, gli ufficiali d’anagrafe incaricati dovranno

raccogliere formalmente, oltre alla indicazione dell’intestatario, anche le ragioni per le quali la richiesta stessa è formulata, in attuazione dell’art. 4 del citato Regolamento. 2. Nel caso di coabitazione per “vincoli affettivi”, la richiesta di costituzione di famiglia anagrafica dovrà essere sottoscritta da ambedue gli interessati alla presenza dell’ufficiale d’anagrafe incaricato. 3. I componenti della famiglia anagrafica, anche

separatamente, possono richiedere all’ufficiale d’anagrafe il rilascio di una attestazione che riporta quanto da loro dichiarato secondo il modulo predisposto: 4. In presenza di domanda di cui al precedente articolo, l’ufficiale d’anagrafe, una volta verificata: la dichiarazione sottoscritta dagli interessati, di cui al precedente punto 1) (e) l’esistenza dello stato di coabitazione degli interessati stessi, sulla base della documentazione

dell’ufficio, emette l’ “attestazione di iscrizione nell’anagrafe della popolazione quale famiglia anagrafica costituita da persone coabitanti

legate da vincoli affettivi”, secondo il modulo predisposto allo scopo. 5.

Nel caso in cui la richiesta di cui al precedente punto 3) sia presentata da persone che già costituiscono una famiglia anagrafica, ma per le quali non esiste la dichiarazione formalmente sottoscritta di cui al precedente punto 1), l’ufficiale di anagrafe incaricato farà

sottoscrivere agli interessati la conferma di coabitazione per vincoli affettivi, contestualmente alla richiesta di attestazione, in modo da poter procedere come disposto al punto 4″.

Al provvedimento testè riportato risultano allegati i seguenti facsimile di moduli.

1) Un modello “A”, da indirizzarsi “All’Ufficio Anagrafe del Comune di Padova” e recante il testo qui appresso specificato: “Oggetto: costituzione di nuova famiglia anagrafica. Ai sensi dell’art. 21 comma 2 del D.P.R. 30

maggio 1989 n. 223, i sottoscritti: Cognome e Nome …nato/a il …; Cognome e

Nome … nato/a il …Residenti o richiedenti la residenza a Padova in Via

…perchè legati da vincoli di:

. Matrimonio

. Parentela

. Affinità;

. Adozione

. Tutela

. Affetto

dichiarano di costituire una nuova famiglia anagrafica; chiedono che l’intestatario sia …”

In calce risultano appositi spazi per l’apposizione della data, delle sottoscrizioni dei dichiaranti e della sottoscrizione dell’ “Ufficiale d’Anagrafe ricevente”; inoltre, risultano ivi riportate sotto l’intestazione

“D.P.R. 30 maggio 1989 n. 223” le seguenti disposizioni: “Art. 4 “famiglia anagrafica”: 1. Agli effetti anagrafici per famiglia si intende un insieme di persone legate da vincoli di

matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso Comune”.

“Art. 21, comma 2: La scheda di famiglia deve essere intestata alla persona indicata all’atto della dichiarazione di costituzione della famiglia. Il cambiamento dell’intestatario avviene solo nei casi di decesso o di

trasferimento”.

“La prova dei vincoli affettivi di cui alla definizione di famiglia anagrafica ai sensi dell’art. 4 è riconosciuta alla dichiarazione che

gli interessati rendono al momento della costituzione o subentro nella famiglia”.

“La dichiarazione non può essere soggetta a continui ripensamenti, e i vincoli sono da ritenersi cessati soltanto con il cessare della

coabitazione” .

Va precisato che la sottolineatura dianzi riportata è contenuta nel modulo testè descritto.

2) Un modello A/1, da indirizzarsi parimenti “All’Ufficio Anagrafe del Comune di Padova” e recante, a sua volta, il testo qui appresso specificato:

“Oggetto: mutamenti avvenuti nella composizione della famiglia anagrafica.

Ai sensi degli artt. 6 e 13 del D.P.R. 30 maggio 1989 n. 223, il

sottoscritto Cognome e Nome … … quale intestatario della famiglia anagrafica

dichiara che sono entrate a far parte della sua famiglia le seguenti persone

…………”; segue, quindi, lo spazio previsto per la firma (presumibilmente del

dichiarante), sotto il quale il testo quindi prosegue nel seguente modo:

“con le quali è legato da

vincoli di:

. Matrimonio

. Parentela

. Affinità

. Adozione

. Tutela

. Affetto “.

Segue, ancora, la seguente indicazione: “D.P.R. 30 maggio 1989 n. 223. Art.

4 “famiglia anagrafica”: 1. Agli effetti anagrafici per famiglia si intende

un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela,

affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed

aventi dimora abituale nello stesso Comune”.

Omissis .

“La prova dei vincoli affettivi di cui alla definizione di famiglia

anagrafica ai sensi dell’art. 4 è riconosciuta alla dichiarazione che

gli interessati rendono al momento della costituzione o subentro nella

famiglia”.

“La dichiarazione non può essere soggetta a continui ripensamenti, e

i vincoli sono da ritenersi cessati soltanto con il cessare della

coabitazione” .

Va anche in questo caso precisato che la sottolineatura dianzi riportata

è contenuta nel modulo testè descritto.

Seguono, quindi, ulteriori spazi riservati alla data, alle firme

(presumibilmente dei componenti della famiglia anagrafica) e alla

sottoscrizione dell’”Ufficiale d’Anagrafe ricevente”.

3) Un modello B/1, sempre da indirizzarsi “All’Ufficio Anagrafe del Comune

di Padova” e recante il testo qui appresso specificato: “Oggetto: richiesta

di attestazione di iscrizione nell’anagrafe della popolazione quale famiglia

anagrafica costituita da persone coabitanti legate da vincoli affettivi. I

sottoscritti: Cognome e Nome …nato/a il …; Cognome e Nome … nato/a il

…chiedono il rilascio dell’attestato sopra indicato ai sensi dell’art. 4 del

D.P.R. 30 maggio 1989 n. 223 “Approvazione del nuovo regolamento anagrafico

della popolazione residente”, e allo scopo dichiarano che esistono tuttora i

vincoli affettivi con la persona coabitante nell’unità immobiliare

sita in Padova, Via …n. …”.

Seguono, quindi, le seguenti diciture: “D.P.R. 30 maggio 1989 n. 223. Art. 4

“famiglia anagrafica”: 1. Agli effetti anagrafici per famiglia si intende un

insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela,

affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed

aventi dimora abituale nello stesso Comune”.

Omissis .

“La prova dei vincoli affettivi di cui alla definizione di famiglia

anagrafica ai sensi dell’art. 4 è riconosciuta alla dichiarazione che

gli interessati rendono al momento della costituzione o subentro nella

famiglia”.

“La dichiarazione non può essere soggetta a continui ripensamenti, e

i vincoli sono da ritenersi cessati soltanto con il cessare della

coabitazione” .

Va anche in questo caso precisato che la sottolineatura dianzi riportata

è contenuta nel modulo testè descritto.

Seguono, altresì, ulteriori spazi riservati alle firme e

all’indicazione degli estremi dei documenti dei due richiedenti,

nonché all’apposizione della data.

4) Un’ “Attestazione di iscrizione nell’anagrafe della popolazione quale

famiglia anagrafica costituita da persone coabitanti legate da vincoli

affettivi”, da rilasciarsi su carta intestata “Comune di Padova” e recante

lo stemma del Comune medesimo; l’attestazione medesima è del seguente

tenore: “Il Sindaco, vista la richiesta di attestazione presentata dai

Signori …; visto il D.P.R. 30 maggio 1989 n. 223 “Approvazione del nuovo

regolamento anagrafico della popolazione residente”; visti gli atti

d’ufficio, attesta che le persone sopra indicate sono iscritte nell’Anagrafe

della Popolazione di questo Comune dal … quale famiglia anagrafica per

coabitazione in Via … n. … in ragione dell’esistenza di vincoli affettivi

dichiarati dai medesimi”.

Segue lo spazio per l’apposizione della firma “d’ordine del Sindaco” da

parte dell’ “Ufficiale d’Anagrafe”.

2.1. Tutto ciò premesso, con il ricorso in epigrafe l’Avv. Giovanni

Artini, residente nel Comune di Padova e ivi conseguentemente inscritto

nelle relative liste elettorali (cfr. autodichiarazioni rispettivamente rese

da medesimo ricorrente a’ sensi dell’art. 46, lett. b e dell’art. 47 del

D.P.R. 28 dicembre 2000 n. 445: cfr. doc.1 di parte ricorrente depositato il

10 febbraio 2007) chiede l’annullamento:

a) della deliberazione del Consiglio Comunale di Padova n. 108 dd. 4

dicembre 2006, avente per oggetto: “mozione a sostegno del

riconoscimento di diritti alle persone che vivono in convivenze non

matrimoniali”, precisando peraltro che ciò è comunque chiesto

per quanto possa riconoscersi alla stessa un contenuto provvedimentale;

b) del provvedimento del Sindaco di Padova Prot. n. 30125 dd. 1 febbraio

2007 laddove -tra l’altro -si dispone che gli Ufficiali dell’anagrafe

provvedano al rilascio, sui presupposti ivi elencati, della

“attestazione di iscrizione nell’anagrafe della popolazione quale famiglia

anagrafica costituita da persone coabitanti legate da vincoli affettivi”;

c) degli allegati di tale provvedimento, rappresentati dai moduli annessi e

– segnatamente – dal passo di quello predisposto per la dichiarazione dei

richiedenti nella parte in cui legittima a chiedere e ad ottenere

l’attestazione anzidetta le persone “residenti o richiedenti la residenza a

Padova”.

Il ricorrente afferma che mediante i provvedimenti impugnati

l’Amministrazione Comunale perseguirebbe l’intento di istituire schede di

famiglia, disciplinate dall’art. 21 del .P.R. 223 del 1989 e che il Comune

medesimo intenderebbe, peraltro, formare non attenendosi al modello

appositamente predisposto dall’Istituto Centrale di Statistica.

Il ricorrente afferma pure che “all’iniziativa comunale è sottesa una

forte carica ideologica che, nell’attuale momento politico … vorrebbe essere

antesignana e apripista” (cfr. pag. 2 dell’atto introduttivo del presente

giudizio).

L’Artini evidenzia, quindi, che la funzione della tenuta delle anagrafi

della popolazione è riservata allo Stato dalla L. 24 dicembre 1954 n.

1228, che tale scelta del legislatore ordinario trova espresso fondamento

nell’art. 117, comma 2, lett. i) Cost. come sostituito dall’art. 3 della L.

Cost. 18 ottobre 2001 n. 3 (il quale – per l’appunto

– attribuisce alla potestà legislativa esclusiva dello Stato medesimo

la materia della “cittadinanza, stato civile e anagrafi”) e che

nell’esercizio della funzione della tenuta delle anagrafi il Sindaco agisce,

a’ sensi dell’art. 54, comma 1, lett. a) del T.U. approvato con D.L.vo 18

agosto 2000 n. 267 come ufficiale di governo, privo di qualsivoglia

potestà dispositiva ovvero modificativa delle direttive statali.

Il ricorrente rileva, quindi, che a’ sensi dell’art. 1 della L. 1228 del

1954, in “ogni Comune deve essere tenuta l’anagrafe della popolazione

residente”, nella quale devono essere “registrate le posizioni relative alle

singole persone, alla famiglia e convivenze che hanno fissato nel Comune la

residenza”, e che a’ sensi dell’art. 43 c.c. quest’ultima si identifica con

il “luogo in cui la persona ha la dimora abituale”.

Il ricorrente rimarca, altresì, la fondamentale rilevanza assunta dal

requisito della residenza anagrafica nell’attuale statuto civile

del1’ordinamento proprio delle persone fisiche, posto che alla residenza

vanno notificati sia gli atti giudiziari, a’ sensi dell’art. 139 c.p.c, sia

gli atti recettizi in genere, e che dalla residenza medesima discendono sia

la dimensione del Comune, sia le assegnazioni della finanza partecipata, sia

l’individuazione del domicilio di soccorso.

Il ricorrente afferma che il Sindaco, nel dare attuazione alla predetta

deliberazione consiliare n. 108 del 2006, avrebbe esteso la legittimazione

ad ottenere il certificato anagrafico non soltanto ai residenti (non potendo

comunque far ciò, per quanto si dirà appresso), ma anche ai

“richiedenti la residenza” e senza disporre alcuna verifica al fine di

accertare se alla dichiarazione risponda alcuna dimora abituale, con la

conseguenza -sempre secondo la tesi dell’Artini -che nel registro anagrafico

potrebbero registrarsi ed ottenere il relativo certificato le coppie di

fatto sia omo-che eterosessuali pur di fatto abitando altrove.

Il ricorrente, al dichiarato fine di comprovare la propria legittimazione a

proporre l’impugnativa in epigrafe, afferma e comprova di essere elettore

del Comune di Padova anche agli affetti della proposizione dell’azione

popolare a’ sensi dell’art. 9 del T.U. approvato con D.P.R. 267 del 2000, a

suo dire esperibile nella presente sede di giudizio quale azione del

Comune-comunità, così come definito dall’art. 3, comma 2, del

medesimo T.U. 267 del 2000, contro il Comune-organo, il quale ultimo nella

specie deborderebbe con il proprio operato dalla legalità.

Il ricorrente reputa che l’azione da lui proposta si configuri, comunque,

quale esercizio di quel dovere inderogabile di solidarietà politica,

sociale ed economica, imposto dall’art. 2 Cost.: e ciò in quanto la

Costituzione, laddove impone al cittadino un dovere inderogabile, “gli

impone di verificare se possa essere utile alla Patria; e nel caso lo

ravvisi, gli impone il dovere inderogabile di esserlo; di attivarsi per

esserlo. La precisazione diventa rilevante per qualificare anche come

europeo il contenuto dell’azione qui esercitata, con la possibilità

della sua difesa in sede europea. Si confida che sia colto lo spirito

esclusivamente “resistenziale” che ispira la presente azione: essa mira alla

difesa dei valori di libertà e di civiltà dell’ ordinamento

che spinsero i nostri Padri alla prima Resistenza, a rischiare in proprio in

difesa dei stessi valori di civiltà, che nel caso paiono al

ricorrente gravemente attentati. Il ricorrente intende specificamente

qualificare come esercizio del diritto europeo d’azione la presente

iniziativa, con una ben precisa funzione e finalità. Secondo l’art. 6

della Dichiarazione dei diritti dell’Uomo, ” toute le personne a droit

à que sa cause soit entendue par un juge”. Questa è una

precisa cause d’un cittadino di questo sventurato Paese, che ha la ventura

di essere anche cittadino europeo e che in questa sede intende esercitare il

suo diritto europeo di azione. Ha diritto “à que sa cause sait

entendue”; questo preciso diritto viene qui esercitato. Ben si sa che

l’adito della Corte di Giustizia europea è possibile solo quando

siano stati esperiti tutti i gradi della giustizia interna dello Stato

contraente. Potrebbe anche darsi -lo si prospetta per mero scrupolo di

completezza espositiva-che venga ritenuto inammissibile il presente ricorso;

la relativa pronunzia verrebbe ovviamente impugnata al Consiglio di Stato,

la cui eventuale pronuncia conforme aprirebbe l’adito alla Corte Europea,

che giudicherebbe la cause del cittadino europeo. Fermo e ribadito il valore

resistenziale della presente azione, comune del resto ad ogni azione

popolare, a cominciare da quella prevista dalla L. 17 luglio 1890 n. 6972″

(cfr. pagg. 5 e 6 dell’atto introduttivo del presente giudizio). Sempre ad

avviso del ricorrente, gli atti qui resi oggetto d’impugnativa sarebbero

assolutamente nulli per difetto assoluto di attribuzione, ai sensi dell’art.

21 septies della L. 7 agosto 1990 n. 241, posto che il Comune, in nessuno

dei suoi organi (Consiglio o Sindaco), sarebbe titolare di alcuna funzione

-legittimazione competenza di statuire comunque in tema di tenuta delle

anagrafi della popolazione, trattandosi – come si è visto innanzi

-funzione esclusivamente statale.

In via subordinata, il ricorrente chiede comunque l’annullamento degli atti

in questione, posto che essi in ogni caso violerebbero “le leggi statali

indicate sotto i profili sopra illustrati” (cfr. ibidem, pag. 6).

2.2. Si è costituito in giudizio il Comune di

Padova
, eccependo innanzitutto l’inammissibilità del

ricorso.

Secondo la difesa dell’Amministrazione intimata, infatti, per quanto attiene

all’asserito esercizio nella presente causa da parte dell’Artini dell’azione

popolare di cui all’art. 9 del T.U. approvato con D.L.vo 267 del 2000,

andrebbe considerato che tale articolo di legge dispone nel senso che

ciascun elettore possa far valere in giudizio le azioni e i ricorsi che

spettano al Comune o a alla Provincia e che, peraltro, la giurisprudenza

unanimemente riconosce all’azione popolare medesima natura sostitutiva o

suppletiva, ossia preordinata alla tutela degli interessi che l’Ente locale

abbia omesso di curare mediante la

proposizione delle azioni e dei ricorsi che gli competevano (cfr., ex

multis, Cons. Stato, Sez. IV, 7 febbraio 2004 n. 1969; T.A.R. Lazio, Sez. II

ter, 5 gennaio 2006 n. 100, nonché le sentenze n. 1728 dd. 27

settembre 2004 e n. 3749 dd. 8 novembre 2006 rispettivamente rese dalla

Sezione III di questo stesso T.A.R. e da questa stessa Sezione), con la

conseguenza che rimane esclusa la proponibilità innanzi a questo

giudice di azioni popolari di tipo c.d. “correttivo”, ossia finalizzate

(come, per l’appunto, nel caso di specie) a censurare atti o comportamenti

riferibili ad una volontà direttamente espressa dall’Ente locale.

Per quanto attiene, invece, all’asserito “contenuto europeo” dell’azione

proposta dall’Artini, la difesa del Comune rimarca che secondo il nostro

ordinamento tutti possono agire in giudizio per la difesa dei propri diritti

e interessi in presenza di un interesse ad agire personale, attuale e

diretto che nel caso di specie, peraltro, mancherebbe in quanto dai

provvedimenti impugnati non discenderebbero lesioni di sorta per la

posizione giuridica del ricorrente medesimo: e ciò anche per quanto

segnatamente attiene all’azione in sede di giurisdizione europea

asseritamente da lui proponibile, stante il fatto che – come dichiarato

dallo stesso Artini – ai fini dell’esercizio del diritto di rango europeo

nella specie invocato sarebbe sufficiente l’esaurimento dei gradi di

giudizio interni all’ordinamento nazionale.

Secondo la difesa del Comune, il ricorso sarebbe inammissibile anche

perchè privo -al di là della generica affermazione della

nullità degli atti impugnati per asserita incompetenza assoluta a

provvedere da parte dell’Amministrazione Comunale -di qualsivoglia

illustrazione di specifiche censure di legittimità al riguardo.

A sua volta, la medesima difesa del Comune rimarca che l’art. 1 della L.

1228 del 1954 dispone che l’anagrafe della popolazione residente deve essere

tenuta registrando le posizioni relative alle singole persone, alle famiglie

e alle convivenze, che l’art. 1 del D.P.R. 223 del 1989 afferma che

l’anagrafe è costituita da schede individuali, di famiglia e di

convivenza, che a’ sensi dell’art. 4 del medesimo

D.P.R. specifica che “gli effetti anagrafici per famiglia s’intende un

insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela,

affinità, adozioni, tutela o da vincoli affettivi,coabitanti ed

aventi dimora abituale nello stesso Comune” e che l’art. 33 dello stesso

disciplina il rilascio dei certificati concernenti la residenza e lo stato

di famiglia disponendo che ogni altra posizione desumibile dagli atti

anagrafici, ad eccezione delle posizioni previste dall’art. 35 del D.P.R.

medesimo, può essere attestata o certificata dall’Ufficiale

d’anagrafe d’ordine del Sindaco.

Ciò posto, secondo la tesi della difesa del Comune, mediante gli atti

qui impugnati l’Amministrazione Comunale avrebbe soltanto dato disposizione

ai propri Uffici anagrafici in ordine alle modalità per il rilascio

dell’attestazione di famiglia anagrafica basata su vincoli di matrimonio o

parentela o affinità o adozioni o tutela o vincoli affettivi.

La stessa difesa del Comune rimarca, quindi, che le disposizioni normative

attinenti alle certificazioni ed alle attestazioni anagrafiche erano e

rimangono quelle previste dagli artt. 33 e 35 del D.P.R. 223 del 1989, e che

dalle disposizioni medesime si evincerebbe agevolmente la tipicità

delle “certificazioni” anagrafiche, limitate -in quanto tali -alla residenza

ed allo stato di famiglia (cfr. art. 33, comma 1, del D.P.R. 223 del 1989 e

alle quali – per l’appunto -si affiancano le altre attestazioni e gli altri

certificati indicati al comma 2 dello stesso art. 33, il quale in tal senso

dispone che, oltre alla residenza ed allo stato di famiglia, “ogni altra

posizione desumibile dagli atti anagrafici, ad eccezione di quelle previste

dal comma 2 dell’art. 35 … può essere attestata o certificata

dall’Ufficiale d’anagrafe d’ordine del sindaco”.

Ciò, dunque, significa – sempre secondo la tesi della difesa del

Comune – che tutte le posizioni anagrafiche desumibili dagli atti in

possesso dell’Amministrazione Comunale e la cui attestazione o

certificazione non è espressamente inibita dalla legge, possono

essere attestate o certificate dall’Ufficiale d’anagrafe, d’ordine del

Sindaco; e, che se è così, nella specie il Sindaco di Padova

avrebbe semplicemente disposto, nel pieno rispetto della normativa

testè esaminata, che possono essere rilasciate su richiesta degli

interessati le attestazioni di iscrizione all’anagrafe della popolazione

quale famiglia anagrafica costituita da persone coabitanti legate da vincoli

affettivi, posto che – come si è detto – a’ sensi dell’art. 4 del

D.P.R. 223 del 1989 “agli effetti anagrafici per famiglia si intende un

insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela,

affinità, adozione tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed

aventi dimora nello stesso Comune”.

Da tale constatazione discenderebbe – sempre secondo la difesa del Comune –

che nella specie non sarebbero state introdotte innovazioni di sorta in

contrasto con le disposizioni statali vigenti in materia, ivi compresa la

modulistica obbligatoriamente utilizzata per l’iscrizione all’anagrafe come

famiglia anagrafica; ed, in particolare, risulterebbe del tutto erroneo

quanto affermato nell’atto introduttivo del presente giudizio circa la

possibilità di estendere il rilascio delle attestazioni anagrafiche

ai non residenti, posto che l’attestazione anagrafica di cui trattasi

sarebbe rilasciata esclusivamente alle persone residenti nel Comune di

Padova, che coloro che chiedono la costituzione di una nuova famiglia

anagrafica devono dichiarare di essere residenti nel Comune di Padova ovvero

devono chiedere di stabilire la loro residenza in tale Comune, che in tale

evenienza si avvia comunque la fase di controllo da parte della Polizia

Municipale ai fini della verifica dell’effettivo trasferimento della

residenza medesima nel Comune di Padova e che soltanto dopo l’esito positivo

di tali controlli e la conseguente iscrizione all’anagrafe patavina

potrà essere rilasciata agli interessati l’attestazione di quanto

dichiarato all’atto della presentazione della richiesta.

Per quanto segnatamente attiene ai modelli predisposti per le operazioni

sopradescritte, la difesa del Comune precisa che il modello A è

utilizzato per la costituzione di famiglia anagrafica nelle pratiche sia di

iscrizione anagrafica che di cambio di abitazione, e che per il suo tramite

gli interessati dichiarano a’ sensi dell’art. 4 del D.P.R. 223

del 1989 i loro legami; che il modello A/1 è utilizzato per la

dichiarazione dei mutamenti della famiglia anagrafica, e che per il suo

tramite gli interessati dichiarano, sempre a’ sensi dell’art. 4 del D.P.R.

223 del 1989, i propri legami; che il modello B è utilizzato per la

richiesta di attestazione di iscrizione all’anagrafe della popolazione quale

famiglia anagrafica costituita da persone coabitanti legate da vincoli

affettivi; e che, da ultimo, il modello B/2 è utilizzato per

l’attestazione dell’iscrizione all’anagrafe quale famiglia anagrafica

costituita da persone coabitanti legate da vincoli affettivi.

Secondo la difesa del Comune, dall’esame della modulistica sopradescritta,

si evincerebbe con inconfutabile chiarezza che non verrebbe effettuata

alcuna iscrizione o annotazione in contrasto con la normativa statale, ma

che -anzi – le dichiarazioni rilasciate dagli interessati relative

all’indicazione dei vincoli in base ai quali viene richiesta la costituzione

della famiglia e le conseguenti attestazioni rilasciate dall’Amministrazione

Comunale sarebbero quelle espressamente ed indefettibilmente previste dalla

disciplina vigente di fonte statuale contenuta nei predetti artt. 4 e 33 del

D.P.R. 223 del 1989.

Non si è costituito in giudizio il pur intimato Sig. Stefano

Bonomo.

Con ordinanza istruttoria n. 20 dd. 28 febbraio 2007 la Sezione ha

disposto l’acquisizione, agli atti di causa, di una fotocopia del modello di

scheda anagrafica di cui all’art. 20, comma 1, del D.P.R. 223 del 1989.

In data 27 marzo 2007 l’Amministrazione Comunale ha adempiuto a tale

incombente.

Le parti, con ulteriori e puntuali memorie, hanno insistito per

l’accoglimento delle rispettive tesi.

Alla pubblica udienza del 5 luglio 2007 la causa è stata

trattenuta per la decisione.

8.1. Il Collegio deve, innanzitutto, farsi carico di disaminare le eccezioni

di inammissibilità del ricorso formulate dalla difesa del Comune.

Esse vanno respinte.

8.2. Come si è visto innanzi, secondo la prospettazione della difesa

del Comune, il ricorrente avrebbe dichiaratamente proposto, nella specie,

un’azione popolare a’ sensi dell’art. 9 del T.U. approvato con D.L.vo 267

del 2000 pur nell’acclarato difetto dei presupposti richiesti al riguardo,

ossia la richiesta, a parte del privato, della tutela in sede

giurisdizionale di interessi specifici attribuiti dall’ordinamento all’Ente

locale e da quest’ultimo peraltro disattesi omettendo la proposizione delle

azioni e dei ricorsi che gli competevano.

In effetti, nel caso di specie non è dato di ravvisare la sussistenza

di tale tipo di azione, essenzialmente sostitutiva o suppletiva rispetto

all’omissione della cura in sede giudiziale del pubblico interesse da parte

dell’Ente: omissione che, per l’appunto, qui non sussiste proprio in quanto

l’Amministrazione Comunale, ben lungi dall’astenersi dal provvedere, ha

posto in essere, nel dichiarato esercizio di proprie competenze deputate

alla cura del pubblico interesse, specifici atti

richiamando puntuali disposizioni legislative e regolamentari che

conforterebbero la legittimità del proprio operato.

L’Artini, peraltro, ha configurato pure il proprio interesse al ricorso

conferendo dichiaratamente allo stesso un “contenuto europeo” genericamente

fondato sull’art. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei

diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4

novembre 1950, successivamente modificata e resa a sua volta esecutiva

nell’ordinamento italiano per effetto della L. 4 agosto 1955 n. 848 e

successive modifiche.

Tale articolo della Convenzione notoriamente contempla il diritto

fondamentale di ogni persona ad un’equa e pubblica udienza entro un termine

ragionevole, davanti ad un tribunale indipendente e imparziale,

nonché precostituito per legge.

A ragione, sotto questo profilo, la difesa del Comune ha evidenziato che

tale diritto non risulta sottratto al ricorrente proprio in quanto

l’esaurimento dei gradi di giudizio interni all’ordinamento nazionale ne

consente la tutela nella sede giudiziale sovrastatuale contemplata dalla

Convenzione medesima (cfr. art. 35 Convenzione cit., come sostituito dal

Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l’11 maggio 1994 e ratificato con L.

28 agosto 1997 n. 296).

Non va condiviso -per contro, e per tutto quanto si dirà appresso

-l’ulteriore argomento svolto dalla difesa del Comune, secondo il quale, a

prescindere dalla stessa pretesa configurazione del ricorso in epigrafe come

necessariamente (ed esclusivamente) prodromico all’esaurimento delle vie

giudiziali interne prima di adire il giudice

sopranazionale, dovrebbe in ogni caso considerarsi che, se è vero che

nel nostro ordinamento tutti possono agire in giudizio per la difesa dei

propri diritti e interessi in presenza di un interesse ad agire personale,

attuale e diretto (cfr. art. 100 c.p.c.), nel caso di specie tale interesse

comunque difetterebbe in capo al medesimo Artini in quanto dagli atti

impugnati non discenderebbero lesioni di sorta per la propria posizione

giuridica.

8.2. Il Collegio, a tale riguardo, evidenzia che dalla lettura dell’art. 1

della L. 1228 del 1954 come integrato dall’art. 2-quater, del D.L 27

dicembre 2000 n. 392, convertito in L. 28 febbraio 2001 n. 26, nonché

dell’art. 1 del D.P.R. 223 del 1989, consta che – per quanto qui

segnatamente interessa – l’ordinamento individua tre distinti status

soggettivi attraverso i quali le persone sono iscritte nei registri

dell’anagrafe della popolazione residente: la singola persona, la famiglia e

la convivenza.

In relazione a ciò, la posizione anagrafica di ciascuna persona

è dunque archiviata sia individualmente, sia all’interno di una

famiglia o di una convivenza, a’ sensi di quanto disposto dagli artt. 4 e 5

del D.P.R. 223 del 1989, i quali – per l’appunto -recano al riguardo la

disciplina degli specifici istituti della famiglia anagrafica e della

convivenza: ossia, a’ sensi di quanto segnatamente disposto nel volume

“Anagrafe della popolazione”della serie “Metodi e norme Serie B n. 29 ed.

1992″ accluso alla circolare ISTAT dd. 8 febbraio 1992 inoltrata a ciascun

Comune, ad ogni persona fisica residente corrispondono sia una scheda

anagrafica individuale (AP/5), sia una scheda di famiglia (AP/6) o di

convivenza (AP/6a).

L’art. 5 del D.P.R. 223 del 1989 definisce la “convivenza” quale “insieme di

persone normalmente coabitanti per motivi religiosi, di cura, di assistenza,

militari, di pena e simili, aventi dimora abituale nello stesso Comune”,

identificando in tal modo determinati aggregati di persone originati da

specifici motivi sociali e che presuppongono una struttura organizzativa al

cui vertice si colloca un responsabile del funzionamento dell’aggregato

medesimo e, conseguentemente, anche delle dichiarazioni anagrafiche inerenti

ai relativi membri (cfr. volume Anagrafe cit.).

Viceversa, a’ sensi dell’art. 4 del medesimo D.P.R. 223 del 1989, “agli

effetti anagrafici per famiglia si intende un insieme di persone legate da

vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o da

vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso

comune”.

Tale disposizione risulta innovativa rispetto al previgente art. 2, primo

comma, del D.P.R. 31 gennaio 1958 n. 136, recante il precedente regolamento

anagrafico, in forza del quale “agli effetti anagrafici per famiglia” si

intendeva “un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela,

affinità, adozione, affiliazione, tutela

o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso

Comune, che normalmente provvedono al soddisfacimento dei loro bisogni

mediante la messa in comune di tutto o parte del reddito di lavoro o

patrimoniale da esse percepito”.

Come ben si vede, quindi, nell’attuale nozione di “famiglia

anagrafica” è stato eliminato, quale elemento costitutivo di tale

aggregato di persone, il vincolo economico tra i membri coabitanti, in

precedenza considerato inderogabilmente necessario.

Pertanto, allo stato attuale, per aversi famiglia anagrafica devono

sussistere i seguenti elementi costitutivi:

1) la presenza tra i membri di un vicolo familiare o affettivo;

2) la coabitazione e dimora abituale nella stessa abitazione.

La famiglia anagrafica è nozione ben distinta da quella della

famiglia c.d. “nucleare” o “civile”, ossia composta da persone unite in

matrimonio con effetti civili riconosciuti:, con la conseguenza che la

famiglia anagrafica e la famiglia nucleare o civile possono anche non

coincidere.

La distinzione concettuale tra famiglia nucleare e famiglia anagrafica

è stata puntualmente ribadita da Cons. Stato, Sez. V, 13 luglio 1994

n. 770, laddove ben si evidenzia che mentre la famiglia anagrafica di cui al

D.P.R. 223 del 1989 è istituto giuridico esclusivamente finalizzato

alla “raccolta sistematica dell’insieme delle posizioni” relative alle

persone che hanno fissato nel Comune la propria residenza (cfr. art. 1

D.P.R. 223 del 1989 cit.), la nozione giuridica di famiglia “nucleare” ,

ossia componibile da genitori e da figli, risulta presupposta e tutelata nel

nostro ordinamento interno dagli artt. 29, 30 e 31 Cost., dagli artt. 144 e

146 c.c. e dall’art. 570 c.p., e -sotto il profilo della necessaria

conformazione dell’ordinamento medesimo “alle norme del diritto

internazionale generalmente riconosciute” (lo ius gentium richiamato

dall’art. 10, primo comma, Cost.) -anche dall’art. 12 della predetta

Convenzione europea dei diritti dell’uomo, dall’art. 16 della Dichiarazione

universale dei diritti dell’uomo approvata dall’Assemblea Generale delle

Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, nonché dall’art. 10 del Patto

internazionale sui diritti economici, sociali e culturali reso a sua volta

esecutivo nell’ordinamento italiano con L. 25 ottobre 1977 n. 881.

La struttura della famiglia “nucleare” risulta -all’evidenza cristallizzata

dal rapporto instaurato per effetto del matrimonio tra i coniugi (cfr. art.

143 e ss.) ed, in particolare, dall’ “obbligo reciproco alla fedeltà,

all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della

famiglia e alla coabitazione” (cfr. art. 143, secondo comma, c.c. come

sostituito dall’art. 24 ), dall’obbligo di contribuire , in relazione alle

proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o

casalingo, ai bisogni della famiglia (cfr. art. 143, terzo comma, c.c.),

dalla necessità di concordare l’indirizzo della vita familiare (cfr.

art. 144, primo comma, c.c.) e dall’ “obbligo di mantenere, istruire ed

educare la prole” (cfr. art. 147 c.c.).

Invero, i coniugi (ossia, la famiglia “nucleare”) sono vincolati – come si

è detto – alla coabitazione (cfr. art. 146 c.c. cit.) ed, in tal

senso, “fissano la residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi

e quelle preminenti della famiglia stessa” (cfr. art. 144, primo comma, c.c.

cit.).

Tuttavia, in conformità all’attuale formulazione dell’art. 45 c.c.

conseguente all’art. 1 della L. 151 del 1975 (“Ciascuno dei coniugi ha il

proprio domicilio nel luogo in cui ha stabilito la sede principale dei

propri affari o interessi. Il minore ha il domicilio nel luogo di residenza

della famiglia o quello del tutore. Se i genitori sono separati o il loro

matrimonio è stato annullato o sciolto o ne sono cessati gli effetti

civili o comunque non hanno la stessa residenza, il minore ha il domicilio

del genitore con il quale convive …”), un coniuge, oltre alla

possibilità d’avere un domicilio diverso da quello dell’altro,

può comunque fissare una residenza diversa da quella della famiglia

in caso di separazione di mero fatto (cfr. Cassazione, Sez. I civ., 14

aprile 1982, n. 2223); e, del resto, risulta altrettanto notorio che la

coabitazione propria della famiglia nucleare, proprio perché

essenzialmente fondata su criteri di fatto, non viene comunque meno per

effetto della circostanza che proprio in dipendenza delle anzidette esigenze

di “indirizzo della vita familiare” e degli interessi dei suoi singoli

membri non confliggenti con quelli della famiglia medesima, i coniugi

sovente concordano di acquisire residenze tra di loro diverse, per

necessità di carattere professionale, fiscale, ecc.: tale ultima

evenienza, quindi, non è di per sé riguardabile quale fatto

automaticamente estintivo dei vincoli propri della famiglia nucleare

Per contro, la famiglia anagrafica risulta – di per sé – ben

più elastica nella sua costituzione e dissoluzione: essa può

essere formata anche da un’unica persona (cfr. art. 4, comma 2, del D.P.R.

223 del 1989) e, soprattutto, essa essenzialmente si fonda, a differenza di

quanto precedentemente visto per la “convivenza” di cui all’art. 5 del

D.P.R. 223 del 1989, sulla dichiarazione liberamente resa da parte di

ciascuno dei suoi membri all’Ufficiale d’anagrafe, a’ sensi dell’art. 13,

comma 1, lett. b), del medesimo D.P.R. 223 del 1989.

Le predette avvertenze e note ISTAT del 1992 riconoscono che la famiglia

anagrafica costituita da individui legati da meri vincoli affettivi

configura un rapporto che, a differenza degli altri legami familiari

elencati dall’art. 4 del D.P.R. 223 del 1989 (matrimonio, parentela,

affinità, adozione, tutela: ossia vincoli giuridicamente connessi a

posizioni derivanti dalla famiglia “nucleare”, ovvero costituite per effetto

di specifici obblighi assunti ex lege ed, in quanto tali, conseguenti da

istituti puntualmente disciplinati dall’ordinamento), non può essere

oggettivamente riscontrato dall’Ufficiale d’anagrafe e non può

-quindi -che essere rimesso alla dichiarazione resa dall’interessato

all’Ufficiale medesimo al momento della costituzione, ovvero del subentro

della famiglia anagrafica.

Nelle stesse note ISTAT del 1992 si afferma – altresì – che dopo

l’avvenuta dichiarazione dell’esistenza di un vincolo affettivo, lo stesso

si reputa venuto meno soltanto per effetto della cessazione della

coabitazione, essendo questa l’unico presupposto oggettivamente

riscontrabile, e che la dichiarazione medesima “non può essere

oggetto di continui ripensamenti”.

8.3. Orbene, premesso tutto ciò, va evidenziato che, anche al di

là della problematica – all’evidenza estranea all’economia del

presente giudizio – relativa al corretto esercizio della

discrezionalità legislativa statale e regionale in ordine

all’eventuale equiparazione tra famiglia nucleare e famiglia anagrafica (per

lo più, diffusamente definita da tali ulteriori fonti normative come

“convivenza”, ossia con terminologie

difforme rispetto alle anzidette nozioni di cui agli artt. 4 e 5 del D.P.R.

223 del 1989) al fine del riconoscimento di determinati benefici economici

(ad es., l’art. 2, comma 4, della L.R. 2 aprile 1996 n. 10, che nel Veneto

consente l’accesso ai benefici di edilizia residenziale pubblica anche alle

unioni more uxorio), risulta ben evidente la sussistenza in capo all’attuale

ricorrente di un interesse, anche soltanto morale (cfr. ex multis,

sull’ormai assodata sufficienza di tale interesse al fine di fondare una

posizione legittimante nel processo amministrativo, Cons. Stato, Sez. IV, 30

luglio 2002 n. 4076), al corretto svolgersi dell’azione amministrativa in

materia anagrafica, affinché i ben diversi istituti della famiglia

nucleare (tutelato, come si è visto, in via espressa da disposizioni

di rango costituzionale e superstatale) e della famiglia anagrafica

(presupposto, viceversa, da una mera legge ordinaria e disciplinato nel

dettaglio da un regolamento e da un atto amministrativo a contenuto

generale, costituito dalle anzidette note ISTAT del 1992) non siano confusi,

anche – e soprattutto – dinanzi alla complessiva percezione dei consociati.

Detto altrimenti, l’interesse del ricorrente si identifica nell’esigenza che

la famiglia anagrafica, non importa se a connotazione etero od omosessuale,

non deve tramutarsi da istituto essenzialmente strumentale alla raccolta

sistematica dell’insieme delle posizioni relative alle persone che hanno

fissato nel Comune la propria residenza (cfr. art. 1 D.P.R. 223 del 1989

cit.) a modello di organizzazione sociale equipollente alla famiglia fondata

sul matrimonio.

Va soggiunto, a questo specifico riguardo, che la disciplina della famiglia

nucleare si è per certo evoluta nei tempi e risulta, in ogni caso, a

tutt’oggi differente nei diversi ordinamenti giuridici in dipendenza delle

altrettanto notoriamente diverse sensibilità economico-sociali e

religiose: ma rimane ferma la perdurante rilevanza, preminenza e

indispensabilità per lo stesso futuro svolgersi di ogni

società umana – e, quindi, anche a prescindere da eventuali opzioni

legislative finalizzate a riconoscere nel contesto dei diritti fondamentali

dei singoli determinati effetti pubblicistici e civili ad altre forme di

unione tra i sessi -l’assunto che fonda la costituzione di ciò che

correntemente e generalmente anche l’attuale ius gentium intende per

“famiglia” nel matrimonio, a sua volta a tutt’oggi essenzialmente ed

indefettibilmente definibile quale “viri et mulieris coniunctio individuam

consuetudinem vitae continens” (J, I, 9 pr.), ovvero quale “coniunctio mari

set feminae, et consortium omnis vitae, divini et umani iuris communicatio”

(Mod. D 23, 2, I).

Se così è, qualsiasi soggetto che a’ sensi del vigente

ordinamento anagrafico risulti inserito in una scheda di famiglia anagrafica

materialmente corrispondente ad una famiglia nucleare, viene dunque a

collocarsi in una posizione differenziata rispetto all’azione amministrativa

da lui reputata difforme dai valori di principio testè enunciati, e

nei suoi confronti va conseguentemente riconosciuta la sussistenza di un

interesse oppositivo a qualsivoglia ipotesi di omologazione, ancorché

meramente documentale, tra la famiglia nucleare e quella meramente

anagrafica fondata sulla mera dichiarazione della sussistenza di vincoli

affettivi comunque diversi dal matrimonio, dalla parentela, o

dall’affinità, nonché dai vincoli discendenti dall’adozione e

dalla tutela.

8.4. Né risulta fondato l’assunto del Comune secondo il quale il

ricorso proposto dall’Artini risulterebbe inammissibile in quanto

intrinsecamente privo di specifiche censure di legittimità.

Dalla lettura dell’atto introduttivo del giudizio è, infatti, agevole

individuare non soltanto l’avvenuta formulazione di una censura di

nullità o inesistenza degli atti impugnati per asserita incompetenza

assoluta dell’Amministrazione Comunale a provvedere al riguardo e di una

subordinata censura di incompetenza relativa da parte dell’Amministrazione

medesima comportante la richiesta di annullamento degli atti medesimi, ma

anche di un’ulteriore censura materialmente riconducibile alla denuncia

delle figure sintomatiche di eccesso di potere per illogicità e per

sviamento del pubblico fine, con la quale il ricorrente allega

l’asseritamente omessa verifica della veridicità della dichiarazione

resa dai richiedenti la residenza ai fini dell’ottenimento da parte del

Comune di quel che egli chiama “certificato anagrafico” della convivenza,

con la supposta conseguenza che mediante la mera richiesta di residenza si

possa nella specie ottenere una certificazione della pubblica

amministrazione difforme, nei suoi contenuti, al vero e – quindi – non

funzionale ai fini di tutela della pubblica fede che la certificazione

medesima dovrebbe

– per contro – assolvere.

9.1. Tutto ciò premesso, il ricorso va accolto nei limiti di quanto

qui appresso specificato.

9.2. La censura di incompetenza assoluta e l’immediatamente subordinata

censura di incompetenza relativa non possono trovare accoglimento.

Secondo la prospettazione del ricorrente, la materia anagrafica sfuggirebbe

a qualsivoglia disciplina di competenza dell’Amministrazione Comunale,

essendo quest’ultima preposta, per il tramite del Sindaco ufficiale del

Governo a’ sensi degli artt. 14 e 54 del T.U. approvato con D.L.vo 267 del

2000, agli incombenti materiali contemplati dalla legislazione disciplinante

la materia medesima, di competenza esclusiva statale (cfr. art. 117, secondo

comma, lett. i, Cost. come modificato dall’art. 3 della L. Cost. 18 ottobre

2001 n. 3 cit.).

Il Collegio, per parte propria, rileva che ove si condividessero gli assunti

del ricorrente, dall’asserita nullità assoluta degli atti impugnati

dipendente dalla pretesa assenza di potestà discrezionali nella

materia di cui trattasi in capo all’Amministrazione Comunale, conseguirebbe

– quale ineludibile corollario -la sussistenza, al riguardo, della

giurisdizione del giudice ordinario, posto che l’art. 21-septies della L. 7

agosto 1990 n. 241 come inserito dall’articolo 14, comma 1, della L. 11

febbraio 2005 n. 15 letteralmente devolve alla giurisdizione esclusiva del

giudice amministrativo le sole questioni inerenti alla nullità dei

provvedimenti amministrativi in violazione o elusione del giudicato:

questioni, queste ultime, che per certo non ricadono nell’economia del

presente giudizio.

Né va sottaciuto che, formulando la medesima tesi, il ricorrente ha

comunque obliterato di valutare come -ad ulteriore conforto “sistematico”

del corollario medesimo e secondo un’ormai consolidata giurisprudenza -le

controversie in ordine alle iscrizioni anagrafiche non rientrano nella

giurisdizione del giudice amministrativo, posto che il Sindaco procede al

riguardo ad un mero accertamento di posizioni soggettive soltanto in base a

presupposti di fatto e senza l’esercizio di alcuna potestà

discrezionale, proprio in quanto manca nella specie l’esercizio di una

potestà autoritativa (cfr., ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 16 gennaio

1990 n. 14 e Sez. I, 26 gennaio 1979 n. 539; T.A.R. Lombardia, Sez. I, 3

marzo 1985 n.174; T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 12 ottobre 2000 n. 766).

La contraria prospettazione secondo la quale le variazioni di residenza

costituirebbero, comunque, nella loro oggettività, provvedimenti

amministrativi invero implicherebbe, come ineludibile conseguenza, che gli

atti stessi dovrebbero essere considerati come atti di accertamento

costitutivo, idonei – in quanto tali, e ove non se ne ottenesse

l’annullamento -a sovrapporsi inderogabilmente sugli status personali e sui

diritti dei loro destinatari: ma risulta, per contro, ormai del tutto

assodato in giurisprudenza (cfr., ex multis, Cass. SS. UU. 7 febbraio 1992

n. 1374) che le risultanze anagrafiche non rivestono tale caratteristica, in

quanto costituiscono mere presunzioni, suscettibili di prova contraria in

ogni momento deducibile innanzi al giudice ordinario mediante azione di

accertamento negativo (cfr. sul punto

T.AR. Friuli Venezia Giulia n. 766 del 2000 cit.).

Tuttavia, ad avviso di questo Collegio, il caso in esame sfugge a tali pur

consolidate impostazioni di principio proprio in quanto l’Amministrazione

Comunale ha qui inteso, mediante propri provvedimenti di carattere generale

conseguenti ad una valutazione degli indubbi spazi di discrezionalità

ad essa lasciati liberi dalla sovrastante disciplina di fonte statuale,

impiantare nel proprio ambito territoriale un “sistema” finalizzato ad

attestare, integrando con propri modelli la modulistica anagrafica standard

predisposta dall’Amministrazione Statale, la sussistenza di una famiglia

anagrafica costituita da persone legate da vincoli affettivi, così

come del resto liberamente dichiarata dai medesimi interessati all’atto

della costituzione, ovvero della variazione della famiglia medesima.

Se è vero, infatti, che l’art. 33, comma 1, del D.P.R. 223 del 1989

dispone che “l’Ufficiale di anagrafe rilascia a chiunque ne faccia

richiesta, fatte salve le limitazioni di legge, i certificati concernenti la

residenza e lo stato di famiglia”, il comma 2 dello stesso articolo dispone

– a sua volta – che “ogni altra posizione desumibile dagli atti anagrafici,

ad eccezione delle posizioni previste dal comma 2 dell’art. 35″ – ossia le

notizie riportate nelle schede anagrafiche concernenti la professione, arte

o mestiere, la condizione non professionale, il titolo di studio e le altre

notizie il cui inserimento nelle schede individuali sia stato autorizzato ai

sensi dell’art. 20, comma 2, del medesimo D.P.R. 223 del 1989 da parte del

Ministero dell’interno, d’intesa con l’Istituto centrale di statistica

(ISTAT) – “può essere attestata o

certificata, qualora non vi ostino gravi o particolari esigenze di pubblico

interesse, dall’ufficiale di anagrafe d’ordine del Sindaco”.

Orbene, la stessa circostanza che le note ISTAT del 1992 presuppongano, come

si è visto innanzi, la possibilità di rendere la dichiarazione

della sussistenza di vincoli affettivi a fondamento della costituzione di

una famiglia anagrafica e che addirittura evidenzino l’esigenza di

rappresentare agli interessati l’esigenza che la dichiarazione stessa non

deve divenire oggetto di frequenti ripensamenti, nonché l’ulteriore

circostanza che le medesime note ISTAT sono state evidentemente trasmesse a

ciascun Comune con l’assenso del Ministero dell’Interno rende di per

sé attestabile (ma, come si vedrà appresso, non certificabile)

da parte dell’Amministrazione Comunale l’esistenza dei vincoli in questione.

Allo stesso tempo, l’Amministrazione Comunale di Padova, proprio

nell’acclarata circostanza che la surriferita disciplina di fonte statuale

non inibisce di attestare la sussistenza dei vincoli affettivi dichiarati

dagli interessati al momento della costituzione o della variazione della

famiglia anagrafica, ha inteso esercitare, mediante i provvedimenti qui resi

oggetto di impugnativa, propri poteri di auto-organizzazione al fine di

consentire l’attestazione di quanto dichiarato dagli interessati medesimi: e

ciò – rileva sempre questo Collegio -anche nella necessaria

applicazione della disciplina di carattere generale contenuta nell’art. 47

del T.U. approvato con D.P.R. 28 dicembre 2000 n. 445, a’ sensi della quale

– per quanto qui segnatamente interessa – “l’atto di notorietà

concernente stati, qualità personali o fatti che siano a diretta

conoscenza dell’interessato è sostituito da dichiarazione resa e

sottoscritta dal medesimo con la osservanza delle modalità di cui

all’articolo 38″ del medesimo T.U., ossia sottoscritta “dall’interessato in

presenza del dipendente addetto”, ovvero sottoscritta e presentata

unitamente a copia fotostatica non autenticata di un documento di

identità del sottoscrittore (cfr. art. 38 cit.).

Volendo – dunque -riassumere, l’Amministrazione Comunale di Padova, ha

correttamente inteso il senso delle note ISTAT del 1992, ossia che la

dichiarazione resa in ordine alla sussistenza di vincoli affettivi quale

presupposto per la formazione di una famiglia anagrafica non può

essere oggettivamente riscontrata dall’Ufficiale d’anagrafe e non può

-quindi -che essere rimessa alla dichiarazione resa dall’interessato

all’Ufficiale medesimo al momento della costituzione, ovvero del subentro

della famiglia anagrafica: e ciò – come si è parimenti visto

innanzi -con il solo limite, affermato dalle stesse note ISTAT, che la

dichiarazione di cui trattasi non può essere oggetto di continui

ripensamenti da parte di colui che la rende.

Il Comune di Padova ha altrettanto correttamente tratto da tutto ciò

la necessitata conseguenza che la sussistenza dei vincoli in questione non

può, di per sé, formare oggetto di certificazione anagrafica

da parte della Pubblica Amministrazione, a’ sensi dell’art. 33, comma 1, e

dell’art. 35 del D.P.R. 223 del 1989, ma può soltanto essere

attestata dalla Pubblica Amministrazione, a’ sensi dell’art. 33, comma 2,

del medesimo D.P.R. sulla scorta della stessa dichiarazione di colui che

l’ha ad essa resa e che l’ha poi confermata al momento della richiesta della

relativa attestazione.

L’attestazione di cui trattasi non può, dunque, identificarsi con una

certificazione rilasciata dalla Pubblica Amministrazione se non nella sua

equipollente validità quale atto pubblico, a’ sensi dell’art. 2699 e

ss. c.c.: per essa, infatti, non può porsi un problema di

validità temporale, come viceversa risulta per le certificazioni

dalla lettura dell’art. 41 del D.P.R. 445 del 2000, proprio in relazione

all’intrinseco suo contenuto, essenzialmente rimesso alla volontà

degli interessati e, nella sostanza, oggettivamente non accertabile.

Pertanto, colui che intende documentalmente affermare la sussistenza dei

vincoli affettivi a prescindere dall’oggettiva permanenza della residenza

con altra persona (essa sola, per contro, riscontrabile nella sua oggettiva

materialità, a’ sensi dell’art. 4, secondo comma, della L. 1228 del

1954), dovrà di volta in volta chiedere l’attestazione di cui

trattasi seguendo la procedura al riguardo prevista dall’Amministrazione

Comunale mediante gli atti qui segnatamente impugnati, ovvero di volta in

volta auto-dichiararla nelle forme proprie della dichiarazione sostitutiva

dell’atto di notorietà, a’ sensi del combinato disposto degli artt.

47 e 38 del T.U. approvato con D.P.R. 28 dicembre 2000 n. 445: e, per quanto

detto innanzi, la validità temporale dell’attestazione ovvero

dell’auto-dichiarazione si esaurirà, ineludibilmente, nel momento

stesso in cui le stesse verranno formate e contestualmente utilizzate.

In ordine a tale impostazione di fondo, correttamente intuita nella sua

essenza dall’Amministrazione Comunale di Padova, può allora

agevolmente osservarsi, dalla lettura dell’impugnata deliberazione

consiliare n. 108 del 2006 e, soprattutto, del provvedimento del Sindaco di

Padova Prot. n. 30125 dd. 1 febbraio 2007, che il procedimento predisposto

dall’Amministrazione Comunale si fonda sulle seguenti fasi:

1) presentazione della dichiarazione di sussistenza dei vincoli affettivi

quale presupposto per la formazione di una nuova famiglia anagrafica, ovvero

quale manifestazione della sussistenza di tali vincoli riferiti ad una

famiglia anagrafica già in essere;

2) riscontro da parte dell’Amministrazione Comunale circa la

veridicità della residenza dichiarata dagli interessati, secondo la

disciplina vigente e obbligatoriamente applicata per ogni ipotesi di

trasferimento della residenza medesima (cfr. art. 4, secondo comma,

L. 1228 del 1954);

3) rilascio dell’attestazione dell’esistenza dei vincoli affettivi, in esito

non soltanto al riscontro di cui sopra, ma ad una espressa e contestuale

dichiarazione, da parte dell’interessato che la richiede, in ordine alla

perdurante sussistenza dei vincoli medesimi.

Se così è, risulta – all’evidenza – del tutto infondato

l’assunto del ricorrente secondo il quale, nella specie, l’Amministrazione

Comunale ometterebbe qualsivoglia riscontro sulla veridicità delle

dichiarazioni rese dai richiedenti la formazione, ovvero il riconoscimento

dell’avvenuta formazione, di una famiglia anagrafica fondata su vincoli

affettivi.

Infatti, il “sistema” testè descritto, ben lungi dall’implicare

l’immediato rilascio della relativa attestazione, indefettibilmente postula

– come si è detto – un riscontro in ordine all’effettiva residenza

dei richiedenti medesimi, seguito dalla susseguente acquisizione di una

dichiarazione sulla perdurante sussistenza della condizione precedentemente

dichiarata; e risulta, conseguentemente, altrettanto assodato che il punto 4

del predetto provvedimento sindacale Prot. 30125 dd. 1 febbraio 2007,

laddove afferma che “in presenza di domanda … l’Ufficiale di anagrafe, una

volta verificata la dichiarazione sottoscritta dagli interessati …(e)

l’esistenza dello stato di coabitazione degli interessati stessi, sulla base

della documentazione dell’ufficio, emette l’ “attestazione di iscrizione

nell’anagrafe della popolazione quale famiglia anagrafica costituita da

persone coabitanti legate da vincoli affettivi”, secondo il modulo

predisposto allo scopo” (il quale, come si è visto innanzi,

presuppone a sua volta, per quanto segnatamente attiene alla richiesta,

l’ulteriore dichiarazione degli interessati sulla perdurante permanenza

della situazione antecedentemente da essi dichiarata) non deve essere letto,

come vorrebbe il ricorrente, nel senso che la “documentazione dell’ufficio”

consterebbe della mera dichiarazione degli interessati, essendo per contro

tale dizione, proprio per la sua intrinseca genericità, agevolmente

riferibile a tutta la documentazione acquisita a supporto della pratica,

ossia anche all’esito del riscontro di cui all’art. 4, secondo comma, della

L. 1228 del 1954 e anche alla dichiarazione confermativa resa dagli

interessati medesimi all’atto della presentazione della domanda di rilascio

dell’attestazione di cui trattasi.

Va anche ribadito, sempre per quanto detto innanzi, che ad avviso del

Collegio i richiedenti l’attestazione, allorquando confermano la permanente

sussistenza dei vincoli affettivi da essi precedentemente dichiarati,

formano innanzi all’Ufficiale di anagrafe che emetterà l’attestazione

medesima una vera e propria dichiarazione sostitutiva dell’atto di

notorietà: e ciò proprio in quanto essi responsabilmente in

tal modo comunque affermano l’esistenza di “stati, qualità personali

o fatti” che sono a loro “diretta conoscenza” (cfr. art. 47 D.P.R. 445

cit.).

Il Collegio, a tale specifico riguardo, non sottace che da ciò

astrattamente consegue pure l’assunzione, da parte dei dichiaranti, di una

responsabilità anche penale, a’ sensi dell’art. 76 del medesimo

D.P.R. 445 del 2000, il quale – come è ben noto – dispone, per quanto

qui segnatamente interessa, che “1. Chiunque rilascia dichiarazioni mendaci,

forma atti falsi o ne fa uso nei casi previsti dal presente testo unico

è punito ai sensi del codice penale e delle leggi speciali in

materia. 2. L’esibizione di un atto contenente dati non più

rispondenti a verità equivale ad uso di atto falso. 3. Le

dichiarazioni sostitutive rese ai sensi degli articoli 46 e 47 e le

dichiarazioni rese per conto delle persone indicate nell’articolo 4, comma

2, sono considerate come fatte a pubblico ufficiale”.

Tuttavia, la stessa fondamentale soggettività – dianzi rilevata

-dell’apprezzamento in ordine alla sussistenza dei vincoli affettivi

affermati come esistenti dagli interessati ragionevolmente relega l’ipotesi

della commissione di reati al riguardo a fattispecie del tutto marginali,

contraddistinte da manifeste situazioni di fatto eclatantemente difformi al

vero: e ciò, si badi, pur nel contesto di una giurisprudenza che, per

quanto attiene alla commissione del reato di falsità ideologica

commessa dal privato in atto pubblico (cfr. art. 483 c.p.) reputa in

prevalenza sufficiente il dolo generico dell’agente (cfr., ad es., Cass.

Pen., Sez. V, 30 gennaio 1981).

Concludendo sul punto, giova anche rimarcare che la soluzione adottata dal

Comune di Padova diverge sensibilmente dai sistemi adottati da altre

Amministrazioni Comunali, le quali hanno istituito al riguardo, mediante

propri provvedimenti di carattere generale, vere e proprie anagrafi

“parallele” delle famiglie dichiaratamente fondate su vincoli affettivi:

soluzione, questa, che – a ben vedere -rimane peraltro del tutto esterna

alla disciplina complessivamente contenuta nella L. 1228 del 1954 e al

D.P.R. 223 del 1989, senza sottacere che essa si fonda inoltre sul

trattamento, da parte delle Amministrazioni medesime, di dati personali

sensibili su supporti informatici e cartacei al di fuori di quanto

tassativamente disposto dall’art. 20 del D.L.vo 30 giugno 2003 n. 196, con

la conseguenza dell’applicabilità delle sanzioni previste al riguardo

(cfr. art. 167 D.L.vo cit.), nonché della non evanescente ed

ulteriore assunzione, in via consequenziale, di una responsabilità

per danno erariale discendente dall’incompetenza assoluta a provvedere in

materia in modo del tutto difforme da quanto previsto dalle fonti normative

statuali (viceversa, per tutto quanto detto innanzi, rettamente intese ed

applicate dal Comune di Padova) e con evidenti esborsi di pubblico denaro

disposti contra legem.

8.4. Il Collegio – altresì -non può non dare atto che la

deliberazione del Consiglio Comunale n. 108 del 2006 si colloca in un

contesto di evidente legittimità laddove inequivocabilmente e del

tutto correntemente distingue, nelle sue premesse, la tutela della famiglia

così come definita dall’art. 29 Cost., dall’esigenza di garantire

comunque alle persone, senza discriminazioni di sorta, i diritti civili e

sociali di cui agli artt. 2 e 3 Cost., senza con ciò “modificare o

alterare il riconoscimento e l’importanza della famiglia fondata sul

matrimonio” (cfr. ivi).

Tuttavia, la modulistica annessa al conseguente provvedimento sindacale

Prot. 30125 dd. 1 febbraio 2007 (ancorché quest’ultimo, per quanto

detto innanzi, risulti a sua volta altrettanto correttamente formulato)

nella sostanza confligge con tali pur legittime affermazioni di principio:

ed, in tal senso, le affermazioni del ricorrente in ordine alla sussistenza,

al riguardo, di “una forte carica ideologica … antesignana ed apripista”

(cfr. pag. 2 dell’atto introduttivo del presente giudizio) e tale da

determinare, nei fatti, la formazione di attestazioni non sicuramente

distinguibili dai veri e propri “certificati anagrafici” (dal ricorrente

medesimo espressamente definiti tali, a pag. 4 dell’atto anzidetto),

risultano pienamente fondate.

Detto altrimenti, la modulistica medesima, per effetto di ben evidenti

errori ed omissioni in essa presenti e presumibilmente compiuti con

intenzionalità, induce in effetti i terzi in quell’equivoco che il

ricorrente pretende sia rimosso, assumendolo a fondamento del proprio

interesse ad agire: ossia, la “confusione” tra famiglia nucleare e famiglia

anagrafica fondata su vincoli affettivi.

Il Sindaco, per effetto della presente sentenza, nonchè in dipendenza

dei propri specifici doveri di Ufficiale del Governo che è tenuto a

dare corretta applicazione alle disposizioni normative disciplinanti tale

sua attività, dovrà pertanto sollecitamente eliminare le

difformità della modulistica in esame rispetto all’ordinamento

vigente, qui di seguito descritte:

1) Nel mod. A, recante la dichiarazione della costituzione di una nuova

famiglia anagrafica, va espressamente affermato che la dichiarazione stessa

è resa non soltanto a’ sensi dell’art. 21, comma 2, del D.P.R. 223

del 1989, ossia agli effetti della formazione della scheda di famiglia (cfr.

ivi:”La scheda di famiglia deve essere intestata alla persona indicata

all’atto della dichiarazione di costituzione della famiglia di cui al comma

1 dell’art. 6 del presente regolamento. Il cambiamento dell’intestatario

avviene solo nei casi di decesso o di trasferimento”), ma anche a’ sensi

degli artt. 4, 6 e 13, lett. b), del D.P.R. medesimo, rispettivamente

contemplanti l’istituto della famiglia anagrafica, i responsabili delle

dichiarazioni anagrafiche e il contenuto di queste ultime.

Oltre a ciò, devono pure essere richiamati nei loro estremi, quale

presupposto della dichiarazione resa dagli interessati, anche le note ISTAT

del 1992 segnatamente riferite alla famiglia anagrafica, nonché la

stessa deliberazione consiliare n. 108 del 2006 e il conseguente

provvedimento sindacale Prot. 30125 dd. 1 febbraio 2007: questi ultimi, al

fine di far constare ai dichiaranti che la disciplina dell’istituto che essi

chiedono di applicare trova la propria fonte nella peculiarità

dell’ordinamento vigente nel Comune di Padova.

Risulta conseguentemente necessario riportare in calce al modulo medesimo

non soltanto parte del testo dell’art. 4 e dell’art. 21, comma 2, del D.P.R.

223 del 1989, ma anche gli artt. 6 e 13 di quest’ultimo, per quanto utile.

Dovranno essere estrapolate dalla citazione di parte del contenuto degli

artt. 4 e 21 del D.P.R. 223 del 1989 le disposizioni contenute nelle

anzidette note ISTAT del 1992 che sono state inserite nel testo delle

disposizioni regolamentari testè riferite, ossia che “la prova dei

vincoli affettivi di cui alla definizione di famiglia anagrafica ai sensi

dell’art. 4 (del medesimo D.P.R. 223 del 1989) è riconosciuta alla

dichiarazione che gli interessati rendono al momento della costituzione o

subentro nella famiglia” e che “la dichiarazione non può essere

soggetta a continui ripensamenti, e i vincoli sono da ritenersi cessati

soltanto con il cessare della coabitazione”.

Tali disposizioni di fonte ISTAT risultano per certo congruenti con il

contenuto del modulo in esame, ma vanno opportunamente rubricate con il

corretto richiamo alla rispettiva fonte di cognizione, che rimane distinta

rispetto al sovrastante regolamento anagrafico.

2) Nel mod. A/1, relativo ai mutamenti avvenuti nella composizione della

famiglia anagrafica, vanno a loro volta richiamati non soltanto gli artt. 6

e 13 del D.P.R. 223 del 1989, ma anche i già citati artt. 4 e 21

dello stesso D.P.R.

Inoltre, anche in questa evenienza dovranno essere richiamate nei loro

estremi le note ISTAT del 1992 segnatamente riferite alla famiglia

anagrafica, nonché la stessa deliberazione consiliare n. 108 del 2006

e il conseguente provvedimento sindacale Prot. 30125 dd. 1 febbraio 2007:

questi ultimi, al già dianzi evidenziato fine di far constare ai

dichiaranti che la disciplina dell’istituto che essi chiedono di applicare

trova la propria fonte nella peculiarità dell’ordinamento vigente nel

Comune di Padova.

Anche in questo caso, inoltre, le citazioni degli artt. 4 e 21, comma 2, del

D.P.R. 223 del 1989, riportate in calce al modulo dovranno essere

opportunamente distinte da quelle proprie delle note ISTAT del 1992 e che

seguiteranno, a loro volta, ad essere riportate.

3) Nel mod.B/1, recante la richiesta di attestazione di cui trattasi,

dovranno essere inserite, dopo la locuzione “e allo scopo dichiarano” ivi

contenuta, le seguenti parole “ai sensi e per gli effetti degli artt. 47 e

76 del D.P.R. 28 dicembre 2000 n. 445″; anche in questo caso, inoltre, le

citazioni degli artt. 4 e 21, comma 2, del D.P.R. 223 del 1989, riportate in

calce al modulo dovranno essere opportunamente distinte da quelle proprie

delle note ISTAT del 1992.

Pure in tale modulo le citazioni degli artt. 4 e 21, comma 2, del

D.P.R. 223 del 1989, riportate in calce, dovranno essere distinte da quelle

proprie delle note ISTAT del 1992 e che seguiteranno, a loro volta, ad

essere riportate.

4) Da ultimo, nel modello recante l’attestazione, va espressamente affermato

che la stessa è rilasciata non già, in via del

tutto generica, “visto il D.P.R. 30 maggio 1989 n. 223” (formulazione,

questa, da censurare proprio perché in tal modo consente di scambiare

l’attestazione per un vero e proprio certificato anagrafico) ma “visto

l’art. 33, secondo comma, del D.P.R. 30 maggio 1989 n. 223″, e che la stessa

non costituisce, pertanto, “certificazione anagrafica” così come

contemplata dal comma 1 dello stesso art. 33.

9. Le spese e gli onorari del giudizio possono essere integralmente

compensati tra le parti, stante la novità della questione trattata.

P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, prima sezione,

definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie nei limiti

di cui in motivazione, e, per l’effetto, annulla i soli modelli allegati al

provvedimento Prot. n. 30125 dd. 1 febbraio 2007 adottato dal Sindaco di

Padova, ordinandone la correzione secondo quanto disposto al § 8.4.

della presente sentenza.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia, nella Camera di consiglio del 5 luglio 2007.

Il Presidente l’Estensore Il Segretario

Commenti

Una risposta a “T.A.R. Veneto sulle Unioni Civili”

  1. Avatar Redazione
    Redazione

    UNIONI CIVILI E T.A.R. VENETO: L’AFFETTIVITA’ INNOMINABILE

    Si è chiusa a fine agosto la disputa apertasi intorno alla delibera del Consiglio Comunale di Padova sulle unioni civili e coppie di fatto.

    Il provvedimento, presentato in forma di mozione “a sostegno del riconoscimento di diritti alle persone che vivono in convivenze non matrimoniali” dal Consigliere Comunale e presidente dell’Arcigay del Veneto Alessandro Zan e approvata dal consiglio comunale con 26 voti a favore (tutto il centrosinistra, esclusi i Verdi, non in giunta), 7 contrari, un astenuto e 2 non partecipanti al voto, fra i primi nel suo genere in Italia (fra l’altro presenta la particolarità di non creare un anagrafe parallelo per le coppie di fatto), è stato approvato il 4 dicembre 2006 ed applica la legislazione nazionale, in particolare l’art.33 c. 2 del D.P.R. n. 223/89, demandando all’anagrafe una “Attestazione di famiglia anagrafica basata su vincoli di matrimonio o parentela o affinità o adozioni o tutela o vincoli affettivi”, per chiunque ne faccia richiesta. E’ somigliante, per molti versi, ad un intervento del ’99 del Comune di Bologna, con la certificazione di “unione affettiva”.

    Il 3 febbraio successivo, dopo le relative disposizioni attuative, si celebrava presso l’anagrafe, con tanto di riso e fiori, la prima unione anagrafica per vincoli affettivi (la coppia di omosessuali Giorgio e Tommaso).

    Non è proprio un “P.A.C.S.” (i patti civili di solidarietà) ma è comunque un passo importante in avanti verso il riconoscimento ufficiale delle unioni civili, con un iter parlamentare sempre più tortuoso ed il passaggio, nella proposta di legge, dai D.I.C.O. ai Contratti di unione solidale.

    Ma il provvedimento è stato subito oggetto di una crociata da parte di ambienti di centro-destra, che con gli avvocati Giovanni Artini e Ivone Cacciavillani hanno proposto ricorso amministrativo.

    La sentenza susseguente, la n. 2786 del 27 agosto 2007 della I Sezione del T.A.R. del Veneto, se da un lato ribadisce la legittimità della delibera padovana, asserendo che “La censura di incompetenza assoluta e l’immediatamente subordinata censura di incompetenza relativa non possono trovare accoglimento”, in quanto detti atti rientrano nella potestà auto-organizzatoria del Comune, che comunque, con le due successive dichiarazioni degli istanti, sottoposte alla disciplina dell’atto notorio ed alle sanzioni penali per le dichiarazioni mendaci, sindaca la veridicità delle stesse e che la delibera di Padova “distingue, nelle sue premesse, la tutela della famiglia così come definita dall’art. 29 Cost., dall’esigenza di garantire comunque alle persone, senza discriminazioni di sorta, i diritti civili e sociali di cui agli artt. 2 e 3 Cost., senza con ciò modificare o alterare il riconoscimento e l’importanza della famiglia fondata sul matrimonio, dall’altro, intervenendo sulla modulistica e chiedendone la correzione, svuota in buona parte il deliberato del suo portato simbolico.

    Il modello “A”, per la costituzione di nuova famiglia anagrafica, ai sensi dell’art. 21 comma 2 del D.P.R. 30 maggio 1989 n. 223, perché legati da vincoli di: matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela, affetto; il modello “A1”, inerente ai mutamenti avvenuti nella composizione della famiglia anagrafica; il modello “B”, per la richiesta di attestazione di iscrizione nell’anagrafe della popolazione quale famiglia anagrafica costituita da persone coabitanti legate da vincoli affettivi, nonchè l’Attestazione di iscrizione nell’anagrafe della popolazione quale famiglia anagrafica costituita da persone coabitanti legate da vincoli affettivi, vanno rettificati inserendo stralci degli artt. 4, 6, 13, 21 della disciplina nazionale del summenzionato D.P.R. 223/89, distinte dalle note I.S.T.A.T. del 1992. Il tutto anche per i moduli già compilati sinora.

    Troppa «confusione », insomma, tra la nuova «famiglia anagrafica » e la «famiglia vera e propria» e pericolo di confusione “fra attestazione e certificazione anagrafica”.

    Il Comune di Padova, valutando il pronunciamento del giudice amministrativo comunque come una vittoria, in quanto è stata riconosciuta la legittimità della delibera de quo, non impugnerà il giudicato e si limiterà a correggere la modulistica.

    Resta il problema interpretativo e applicativo della legislazione anagrafica, che presenta varie zone grigie, in un contesto in cui si avverte la mancanza di una legge-quadro che disciplini la materia. Ma questo rimedio sembra ben di là da venire.

    Avv. Francesca la Forgia