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Giuristi contro la guerra in Afghanistan
Redazione 16 gennaio 2002 19:19
Giuristi Democratici, Asgi e Magistratura Democratica lanciano un appello contro la guerra in Afghanistan. 16 ottobre 2001

GIURISTI CONTRO LA GUERRA

L'orrore e la barbarie che hanno devastato New York e Washington non hanno
giustificazioni. Non c'è dio, non c'è politica, non c'è progetto di
emancipazione senza rispetto e pietà per l'uomo. Anche per questo gli attentati
terroristici richiedono una reazione ferma, efficace e priva di distinguo e
incertezze: sul piano culturale, politico, economico ed anche su quello
repressivo.

Ma la reazione non può essere la guerra: non dobbiamo temere di dire forte che
la guerra porta come conseguenza altra guerra, che le bombe sull'Afghanistan
colpiranno con effetti indiscriminati e devastanti migliaia di donne, uomini,
vecchi e bambini (non certo risparmiati, come gli eventi dei primi giorni già
stanno dimostrando, dai cd bombardamenti selettivi), che si stanno già creando
masse ingenti di disperati privi di qualsiasi assistenza, che richiedono
rifugio e vengono respinti e che la prova di forza finirà per essere deleteria
perché compatterà ancor più gli integralismi. Non possiamo assistere in
silenzio all'inizio delle operazioni militari contro l'Afghanistan (destinate -
secondo le dichiarazioni dei suoi protagonisti - ad estendersi anche contro
altri Paesi). Non possiamo farlo proprio come giuristi: perché il fine del
diritto è quello di risolvere i conflitti tra gli uomini, evitando che ogni
controversia finisca necessariamente in una guerra, privata o collettiva che
sia; e perché anche quando la guerra viene accettata come "male minore"
l'ordinamento internazionale e quelli interni la ancorano a princìpi rigorosi e
indefettibili: non per inutile formalismo ma per la consapevolezza della sua
gravità ed eccezionalità.

La guerra iniziata il 7 ottobre 2001 dagli Stati Uniti e dalla Nato (supportati
da alcuni paesi anche arabi) non ha i requisiti di legittimità richiesti
dall'ordinamento internazionale. L'attacco aereo contro il World Trade Center
non è, infatti, definibile come "atto di guerra", cioè come aggressione di uno
Stato contro un altro Stato, e ciò osta all'uso legittimo della guerra come
strumento di legittima difesa da parte dello Stato aggredito. In ogni caso,
anche ove l'atto terroristico potesse essere considerato "atto di guerra",
l'art.42 dello Statuto delle Nazioni Unite prevede che - esauriti gli
interventi di autotutela, legittimamente realizzabili di fronte ad un "attacco
in corso" - solo il Consiglio di Sicurezza può intraprendere "con forze aeree,
navali o terrestri, ogni azione che sia necessaria per mantenere o ristabilire
la pace e la sicurezza internazionale" e nessuna decisione in tal senso è stata
assunta dal Consiglio di sicurezza prima dell'inizio dell'azione militare, tali
non essendo, all'evidenza, la risoluzione n. 1368 (che, dopo aver riconosciuto
agli Stati Uniti il diritto di autotulela, ha statuito l'obbligo di tutti gli
Stati di perseguire con la massima urgenza i responsabili di atti di terrorismo
e dichiarato che gli Stati che danno rifugio o protezione ai terroristi saranno
considerati responsabili di tali comportamenti) e la risoluzione n. 1373 (che
ha adottato una serie di misure volte a prevenire e a stroncare il terrorismo,
prevedendo "fra l'altro" il congelamento dei fondi e di ogni risorsa economica
che possa essere usata dai terroristi e l'obbligo di tutti gli Stati di
cooperare e scambiarsi le informazioni necessarie ed utili per la repressione
del terrorismo). L'art.5 dello Statuto della Nato, a sua volta, consente ed
impone l'intervento ai Paesi membri dell'alleanza solo quando uno degli
aderenti sia oggetto di "attacco esterno". Per quanto riguarda l'Italia, poi,
la situazione non è cambiata rispetto al quadro delineato al tempo della guerra
in Kosovo. La partecipazione italiana all'operazione Enduring Freedom è una
azione di guerra che la nostra Costituzione ammette solo come strumento di
difesa (art.11) e previa formale delibera dello stato di guerra da parte delle
Camere (art.78) e sua dichiarazione da parte del Presidente della Repubblica
(art.87) (procedure, ad oggi, non intervenute e neppure attivate).

Respingere la guerra non significa accettare la barbarie ed assistere
rassegnati alle stragi terroristiche: significa al contrario mettere in campo,
in modo convinto ed autorevole, l'ONU e le istituzioni internazionali. A tal
fine è assolutamente necessario che l'ONU si riappropri della funzione di
mantenimento della pace tra i popoli e di risoluzione pacifica delle
controversie internazionali che la Carta prevede come ragion d'essere
dell'Organizzazione, mentre l'uso della forza è consentito solo come extrema
ratio dopo che ogni altro tentativo sia risultato vano.

Troppo spesso, per il prevalere di uno o più Stati, l'ONU ha abdicato a questo
ruolo, essenziale per sperare in una civile convivenza tra i popoli e, in
dispregio delle norme pattizie, ha omesso di svolgere il proprio ruolo
istituzionale: ciò è avvenuto, ad esempio, per la questione palestinese, che
andava e va risolta soddisfacendo i legittimi diritti di tutte le parti
coinvolte, secondo il principio "Due popoli, due Stati", come già affermato in
numerose e inapplicate risoluzioni dell'O.N.U..

Si pone, comunque, il problema di una riforma dell'O.N.U. che garantisca il
recupero della credibilità, efficienza, rappresentatività e democraticità dei
suoi organi, a partire dal Consiglio di Sicurezza, (a cui, nell' attuale
composizione, è devoluta in via esclusiva ogni decisione sul ricorso alla
forza), non più ristretto, nella composizione permanente, a pochi Stati
portatori di specifici interessi economici e di istanze di superati equilibri
politici.

Ed ancora appare ineludibile l'entrata in vigore della Corte Penale
Internazionale, per la quale mancano ancora significative ratifiche, tra cui
quelle della Cina, degli Stati Uniti, dotata di maggiore autonomia ed
imparzialità dei Tribunali ad hoc sino ad oggi costituiti, e capace di
giudicare, sia pure in via complementare ai singoli Stati, nell'interesse di
una comunità internazionale resa uguale dal riconoscimento di un comune diritto
e di una precostituita autorità giurisdizionale, dei crimini di guerra come gli
attentati di New York e Washington.

La titolarità del potere di decidere e realizzare interventi sul piano
internazionale - lo abbiamo già ricordato in occasione della guerra nel Kosovo
- non è questione formale o secondaria, anche perché ad essa si legano i modi
dell'operazione, le forze in essa coinvolte, la possibilità di aggregare
consensi non forzati.

Vale per le questioni internazionali lo stesso principio del diritto interno
secondo cui non sono lecite giustizie private. È l'eterno problema delle regole
e delle garanzie. Come nel diritto interno il garantismo autentico non è uno
strumento per assicurare impunità a chi delinque, così nel diritto
internazionale esso non è la scappatoia per consentire a terroristi e autori di
crimini internazionali di continuare nella loro attività e di sfuggire alla
punizione: esso è il metodo (pur a volte difficile) per assicurare una
convivenza giusta, per evitare il prevalere della forza sulla ragione e per non
offrire ai terroristi terreno di coltura e di consenso. Di ciò, a livello
internazionale, non può essere garante altri che l'Onu, ed è irresponsabile
emarginarlo e indebolirlo per ragioni di convenienza politica contingente.

E diciamo questo nella consapevolezza dell'assoluta rilevanza delle regole, pur
consci che, per la risoluzione dei conflitti, occorra farsi carico di tutta una
serie di altri problemi, quale quello economico, per affrontare la gravità e la
drammaticità di simili eventi.

Chiediamo per questo a tutti i giuristi di far sentire la loro voce perché la
guerra sia bloccata, il diritto alla vita di persone innocenti sia
salvaguardato e si riaffermi il diritto internazionale.


16 ottobre 2001



Associazione Giuristi Democratici-Coordinamento Nazionale
Associazione Studi Giuridici sull'Immigrazione
Magistratura Democratica

A questo appello è stata richiesta l'adesione di singoli giuristi, i primi firmatari
sono stati
Umberto Allegretti (professore, Università Firenze)
Mario Angelelli (avvocato, Roma, coordinamento nazionale Giuristi democratici)
Desi Bruno (avvocato, Bologna, coordinamento nazionale Giuristi democratici)
Renzo Capelletto (avvocato, Torino, giunta nazionale Unione Camere penali)
Angelo Caputo (magistrato, Roma)
Luigi Ciotti (presidente Gruppo Abele)
Gastone Cottino (professore, Università Torino)
Angelo Cutolo (avvocato, Napoli, coordinamento nazionale Giuristi democratici)
Mario Dogliani (professore, Università Torino)
Tecla Faranda (avvocato, Milano, coordinamento nazionale Giuristi democratici)
Luigi Ferrajoli (professore, Università Camerino)
Gianni Ferrara (professore, Università di Roma)
Domenico Gallo (magistrato, Roma)
Maria Grazia Giammarinaro (magistrato, Roma)
Franco Ippolito (magistrato, Corte di cassazione)
Roberto Lamacchia (avvocato, Torino, coordinamento nazionale Giuristi democratici)
Raniero La Valle (giornalista, scrittore)
Fabio Marcelli (ricercatore, coordinamento nazionale Giuristi democratici)
Giovanni Palombarini (magistrato, Corte cassazione)
Livio Pepino (magistrato, Torino, presidente Magistratura democratica)
Dario Rossi (avvocato, Genova, coordinamento nazionale Giuristi democratici)
Ugo Spagnoli (avvocato, già vicepresidente Corte costituzionale)
Lorenzo Trucco (avvocato, Torino, presidente Associazione studi giuridici immigrazione)
Danilo Zolo (professore, Università Firenze)
(seguono, al 7 novembre, 120 firme)

 

Dalla guerra non nasce giustizia
I Giuristi Democratici hanno aderito a questo appello

"Dalla guerra non nasce giustizia"

Ogni vittima è una parte di noi che muore. Ogni vita strappata all'odio della guerra è il nostro futuro che sorge. Siamo uomini e donne che hanno un sogno in comune: un mondo più giusto. Questa necessità per l'umanità si allontana ogni volta che la comunità internazionale si illude di risolvere i problemi di pace e di sicurezza mettendo in campo la guerra e gli armamenti.
La metà dei soldi usati nel primo mese di guerra sull'Afghanistan avrebbero consentito a 20 milioni di esseri umani di quel paese di vivere in prosperità e ricchezza per tutto il resto della loro vita. Con il 3% dei fondi destinati alla militarizzazione dei soli e delle stelle, il cosiddetto scudo spaziale, potremmo dare acqua potabile a chi oggi vede preclusa questa vitale possibilità. La guerra non è solo ciò che distrugge od uccide con le armi : è tanta intelligenza, tanta cultura scientifica, tante risorse finanziarie bruciate per la morte anziché per la vita.
Il terrorismo è nostro nemico. Solo la pace può sconfiggerlo. Esso si annida e si nutre nelle tante aree di sofferenza prodotte da un sistema ingiusto. Esso è protetto nei paradisi fiscali, nel riciclaggio di denaro sporco, dai trafficanti di armi, dai rialzi e dai crolli delle borse. Esso si è istruito nelle principali scuole militari dei paesi che contano, ha imparato a colpire con ferocia nella tante guerre per procura combattute per impedire la libertà e la dignità dei popoli. Esso non teme la guerra; che ne è il brodo di coltura. Teme l'edificazione di un sistema di pace, dove la ricchezza del mondo sia distribuita più equamente, dove la convivenza sia non solo possibile ma divenga l'essenza stessa della comunità umana. All'orrore dell'11 Settembre non si può rispondere con la sospensione dei diritti civili, con la restrizione delle libertà democratiche, con la riabilitazione della tortura e l'istituzione di tribunali speciali senza diritto di difesa. La democrazia che snatura se stessa per combattere i propri nemici, finisce per negare se stessa.
Fermiamo la fabbrica dell'odio, mobilitiamoci per la pace. Talebani ed Alleanza del Nord, il rischio di cadere dalla padella alla brace è altissimo. In mezzo vi è un popolo di profughi che viaggia senza meta, tra campi pieni di mine e bande di armati e di sciacalli. E' a loro, che hanno conosciuto 25 anni di guerra, che va il nostro pensiero. E' alle donne afghane , sepolte nel burqa e dall'oscurantismo, che resistono e si battono per la pace, i diritti, la democrazia che va il nostro sostegno e solidarietà. E' alle organizzazioni umanitarie, alle Ong, ai tanti ed alle tante che in condizioni difficili difendono la dignità dell'umanità che va tutto il nostro appoggio. Di loro c'è bisogno. Non di portaerei, truppe e di altre armi. Contro ogni guerra di civiltà, difendiamo il valore della convivenza, i diritti dei migranti e dei rifugiati, battiamoci perché le nostre comunità siano accoglienti e libere da ogni forma di razzismo.Perché il frutto della pace
sarà la giustizia. Quello della guerra ancora altra guerra. Mobilitiamoci per la pace. Il 10 dicembre, 53° anniversario della dichiarazione dei diritti umani saremo a fianco di tutti quelli che ogni giorno -e ovunque- si impegnano per i diritti umani. Come in Palestina e in Israele dove andremo a fine anno a sostenere chi si impegna per la pace. E ricordiamo, inoltre, la scelta di chi il 14 dicembre, rispondendo all'appello del Papa farà una giornata di digiuno per sostenere i valori della pace.
Invitiamo tutti coloro che condividono questo appello ad incontrarsi il prossimo 17
dicembre alle 16.00 a Roma alla Sala della Protomoteca del Comune di Roma per discutere come portare avanti il nostro impegno per la pace e la giustizia.

Alex Zanotelli, Pietro Ingrao, Vittorio Agnoletto, Fabio Alberti, Fulvia Bandoli, Riccardo Barenghi, Tom Benetollo, Marco Bersani, Fausto Bertinotti, Luigi Bettazzi, Luca Casarini, Luigi Ciotti, Alessandro Curzi, Peppe De Cristofaro, Tonio Dell'Olio, Domenico Gallo, Maurizio Gubbiotti, Flavio Lotti, Fabio Lucchesi, Francesco Martone, Giulio Marcon, Alessandra Mecozzi, Lidia Menapace, Piero Maestri, Roberto Minervino, Luisa Morgantini, Luciano Muhlbauer, Gianni Rocco, Giorgio Nebbia, Claudio Sabattini, Cesare Salvi, Sabina Siniscalchi, Pierluigi Sullo