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Illiceità della guerra preventiva
Avv. Nicola Canestrini 21 marzo 2003 17:11
L'articolo di Fabio Marcelli segnala il pericolo di un crollo del diritto internazionale derivante soprattutto dall'aperta e insistente rivendicazione, che accompagna la minaccia di questa guerra, della legittimità della guerra medesima come strumento di soluzione dei problemi e delle controversie internazionali.

Gli Usa contro il diritto internazionale:
illiceità della guerra preventiva


di Fabio Marcelli


1. Premessa

La nuova dottrina statunitense dell'autodifesa preventiva costituisce senza dubbio un tentativo di ribaltare la disciplina dell'uso della forza contenuta nella Carta delle Nazioni Unite e in particolare nell'art. 2, para. 4, di essa. Data la natura imperativa e davvero fondamentale di quest'ultima norma, sulla quale poggia tutto il sistema internazionale esistente, il suo scardinamento dovrebbe o segnare il passaggio a una nuova fase storica, segnata dalla rilegittimazione della guerra come strumento delle relazioni internazionali e dal tramonto del principio della sovrana eguaglianza fra gli Stati, oppure costituire un gravissimo crimine internazionale.
Dalla reazione che la comunità internazionale opporrà a questo tentativo deriverà in sostanza il giudizio, insieme storico e normativo, su questo tentativo di sovversione giuridica e sui suoi autori, il Presidente statunitense George Bush, e il suo entourage di petrolieri, armaioli e finanzieri. Se il tentativo riuscirà, essi potranno forse in qualche modo aspirare al titolo di imperatori del Pianeta, se invece fallirà essi dovranno essere chiamati a rispondere del crimine di aggressione, qualora, passando dalla teoria alla prassi, attuassero il loro programma.
L'art. 2.4, in effetti, è di cristallina chiarezza nel richiedere la necessità di rispondere a un attacco armato in corso come presupposto del ricorso alle armi e nell'affermare in ogni caso la preminenza del Consiglio di Sicurezza.


2. Scardinamento del diritto internazionale

Il diritto internazionale ha sempre teso a restringere la portata della legittima difesa identificando in modo il più possibile minuzioso i suoi presupposti. Un precedente che è utile richiamare è il caso "Caroline", vapore statunitense affondato nel 1837 dalla Marina britannica perché sospettato di trasportare armi ai ribelli canadesi. In quella circostanza fu proprio il Segretario di Stato statunitense, Daniel Webster, a negare la legittimità dell'affondamento, sostenendo che la legittima difesa può essere invocata solo qualora "the necessity of that self-defense is instant, overwhelming, and leaving no choice of means, and no moment for deliberation" .
In altre parole, la legittima difesa deve riguardare un attacco già in corso o del quale siano in corso i diretti preparativi, senza possibilità di equivoco, in modo tale che la risposta immediata data mediante un'azione armata risulti l'unica possibile. Evidenti, altrimenti, i rischi di abusi da parte di aggressori che, per giustificarsi, tendano ad indossare le vesti degli aggrediti. Lo sviluppo del diritto internazionale nei 165 anni che ci separano dal caso "Caroline" ha teso a restringere ulteriormente lo spazio del ricorso all'istituto della legittima difesa e un passaggio fondamentale è stato compiuto, anche a tale proposito, con l'adozione della Carta delle Nazioni Unite .
Invocazioni della difesa preventiva non sono tuttavia mancati e si sono moltiplicati anzi negli ultimi anni, con l'evidente intento, da parte di vari Stati, di aggirare i requisiti precisi posti dall'art. 51 della Carta delle Nazioni Unite, con risultati peraltro quasi mai convincenti.
In tempi a noi più vicini la legittimità della difesa preventiva è stata sostenuta ad esempio dal governo israeliano nella guerra dei Sei Giorni e dagli stessi Stati Uniti come uno dei motivi che avrebbero giustificato l'attacco a Panama nel 1989 . La dottrina della legittima difesa preventiva è stata invocata dall'Iraq per giustificare l'attacco all'Iran nel 1980 e contro l'Iraq da Israele per giustificare la distruzione del reattore nucleare di Osiraq nel 1981.
L'elemento nuovo che secondo alcuni settori della dottrina motiverebbe oggi il ricorso alla legittima difesa è costituito dall'evoluzione della tecnologia bellica, con la connessa possibilità di first strikes improvvisi e devastanti. Non è casuale che la dottrina statunitense l'abbia elaborata proprio a partire da una riflessione sulla crisi di Cuba, con il dispiegamento dei missili nucleari sovietici sull'isola . Tale tentativo ha trovato tuttavia la costante opposizione della dottrina più avvertita . La stragrande maggioranza degli Stati inoltre si è sempre dichiarata contraria all'estensione del concetto, come dimostrato dalle prese di posizione avvenute dopo l'attacco israeliano ad Osiraq e in altre occasioni . Antonio Cassese sembra aver dimostrato in modo convincente che, in conclusione, sulla base della considerazione complessiva del sistema previsto dalla Carta delle Nazioni Unite "pre-emptive strikes should be banned, since they may easily lead to abuse, being based on subjective and arbitrary appraisals by individual States".
I riferiti precedenti e le accennate elaborazioni e prese di posizione appaiono peraltro di tutt'altro spessore rispetto al salto di qualità che la nuova dottrina statunitense vorrebbe compiere. Al riguardo infatti, Bush afferma testualmente che, se "per secoli il diritto internazionale ha riconosciuto che le azioni non dovevano subire un attacco prima di poter agire legalmente per difendersi contro forze che costituivano un pericolo di attacco imminente" e se "i giuristi e gli esperti di diritto internazionale hanno spesso subordinato la legittimità dell'attacco preventivo all'esistenza di una minaccia imminente, quasi sempre una mobilitazione visibile di eserciti, flotte e forze aree in preparazione di un attacco", oggi
"dobbiamo però adattare il concetto di minaccia imminente alle capacità e agli obiettivi degli avversari odierni [dato che] gli Stati canaglia e i terroristi non cercano infatti di attaccarci usando mezzi convenzionali. Sanno che simili attacchi sarebbero condannati al fallimento. Si affidano così ad atti di terrorismo e, potenzialmente, all'uso di armi di distruzione di massa, armi facilmente nascondibili e trasportabili in segreto e senza avvertimento" .
In altri termini, la guerra è possibile sempre e comunque, purché chi è in grado di scatenarla nutra sospetti, più o meno fondati, sulla possibilità, in futuro di attacchi terroristici, eventualmente con l'uso di armi di distruzione di massa. Il concetto di terrorismo e di Stato canaglia appare d'altronde estremamente elastico e tale da poter essere applicato potenzialmente a qualunque Stato non sia alleato od amico degli Stati Uniti, ovvero non ne traduca subito in fatto le direttive perinde ac cadaver, ovvero manifesti qualche tendenza a deviare dai valori "universali", fra i quali la difesa della libera iniziativa economica, della proprietà privata e del mercato, garantiti dalla Superpotenza.
Appare quindi evidente come risultato di questa dottrina, se in qualche modo approvata o imposta alla comunità internazionale, sarebbe quello di passare in modo conclamato al nuovo ordine imperiale, che vedrebbe in sostanza l'abolizione del principio fondamentale della sovranità statale. Più che di una reinterpretazione del sistema della Carta, peraltro impossibile per quanto detto, si tratta con ogni evidenza del tentativo di operarne un pieno superamento e una sostituzione con altro sistema giuridico.
In questo senso, la nuova dottrina si riaggancia da un lato alle teorizzazioni sul nuovo ordine mondiale elaborate da Bush padre all'indomani del crollo del muro di Berlino e del disfacimento della potenza sovietica e, dall'altro, alla nuova dottrina della Nato approvata dal Vertice di Washington dell'aprile 1999, in coincidenza con l'intervento in Kossovo e i bombardamenti sulla Serbia.


3. I tre pilastri della dottrina Bush

Non deve però sfuggire il carattere di novità del documento The National Security Strategy of the United States of America - September 2002 che qui ci accingiamo ad esaminare. Esso infatti aspira a un completo rovesciamento del diritto internazionale vigente sul tema strategico e delicatissimo dell'uso della forza, e la sua accettazione equivarrebbe a sancire in modo esplicito il primato della forza armata nell'ambito della comunità internazionale. Ciò tanto più tenendo conto delle caratteristiche effettive della guerra moderna, la quale se in generale "in quanto uso sregolato, illimitato e incontrollato della forza è d'altro canto la negazione del diritto, consistendo il diritto nella negazione e nella limitazione della forza", oggi assume come ulteriori tratti caratteristici quelli di svolgersi "senza perdite di vite umane da parte degli aggressori e di produrre la quasi totalità delle vittime tra le popolazioni civili, innocenti delle colpe addebitate ai loro governanti" .
Dal punto di vista formale il documento si presenta come una silloge di discorsi ed interventi tenuti da Bush in varie occasioni nel corso degli ultimi due anni, preceduti da un'introduzione firmata dallo stesso Bush.
La strategia poggia su tre pilastri: l'omologazione del mondo intero al modello statunitense, la lotta al terrorismo e l'affermazione del monopolio nelle armi di distruzione di massa.
Nella visione manichea fatta propria dal documento, la lotta fra il male e il bene, "visioni totalitarie e distruttive contro libertà ed uguaglianza", che ha occupato "la maggior parte del XX secolo", è finita con la sconfitta delle "visioni militanti di classe, nazione e razza che promettevano l'utopia, ma davano miseria". Continua però la minaccia, di cui sono latori "Stati perdenti" e "tecnologie catastrofiche nelle mani di pochi esagitati". Queste minacce dovranno essere sbaragliate .
Al tempo stesso però si apre una grande stagione di opportunità. La strategia è basata su "un internazionalismo squisitamente americano che rifletta l'unione dei nostri valori e dei nostri interessi nazionali". A tal fine è necessario:
a) sostenere chi aspira alla dignità umana;
b) rafforzare l'alleanza contro il terrorismo;
c) risolvere i conflitti regionali;
d) prevenire le minacce di uso di armi di distruzione di massa contro gli USA, i loro alleati e i loro amici;
e) dare inizio a una nuova era di crescita economica globale;
f) espandere lo sviluppo;
g) elaborare programmi per cooperare con gli altri centri del potere globale;
h) trasformare le istituzioni della sicurezza nazionale statunitense per metterle in grado di rispondere alle sfide e alle opportunità.


4. L'affermazione del modello statunitense

"Difendere la dignità umana" significa, secondo Bush, affermare un modello di società nel quale siano presenti i seguenti requisiti: "il diritto; i limiti al potere assoluto dello Stato; la libertà di parola; la libertà di culto; l'equità della giustizia; il rispetto per le donne; la tolleranza religiosa ed etnica e la difesa della proprietà privata". Si tratta di contenuti realizzati dal sistema economico, politico e sociale degli Stati Uniti, dato che "la nostra storia rappresenta una lunga lotta per stare al passo con i nostri ideali" .
Nel corso della lotta contro il terrorismo globale gli Stati Uniti non dimenticheranno mai che, in sostanza lottano per i loro valori democratici e per il loro stile di vita .


5. Difesa preventiva e guerra al terrorismo

Gli Stati Uniti, afferma il documento "sono in guerra con il terrorismo globale", specificando che "il nemico non è un singolo regime politico, o un'unica persona, o una particolare religione o ideologia". Questa guerra sarà combattuta su molti fronti per un periodo di tempo lungo. Infatti, "migliaia di terroristi addestrati sono ancora liberi in cellule sparse per l'America del Nord, l'America del Sud, l'Europa, l'Africa, il Medio Oriente e per tutta l'Africa" .
Il nemico prioritario saranno le organizzazioni terroristiche globali e quei terroristi o Stati sostenitori del terrorismo che tenteranno di procurare o di usare armi per la distruzione di massa o loro componenti . Gli Stati Uniti
"cercheranno costantemente di attirarsi il sostegno della comunità internazionale, ma al tempo stesso non esiteranno ad agire da soli, se necessario, per esercitare il loro diritto all'autodifesa agendo anche in via preventiva contro i terroristi" .


6. Le armi di distruzione di massa

Con la fine della guerra fredda lo scenario della sicurezza statunitense è profondamente mutato: "sono sorte nuove terribili sfide rappresentate dagli Stati canaglia e dai terroristi" .
Gli Stati canaglia presentano le seguenti caratteristiche: abbrutiscono i loro popoli e sperperano la ricchezza nazionale nell'interesse dei governanti; non mostrano alcun riguardo per il diritto internazionale; sono decisi ad acquisire armi di distruzione di massa; sostengono il terrorismo su scala globale, rifiutano i valori umani basilari ed odiano gli Stati Uniti per tutto ciò che essi rappresentano .
Vengono citati, successivamente, l'Iraq e la Corea del Nord.
La strategia contro le armi di distruzione di massa comprende operazioni preventive di controproliferazione, il rafforzamento delle operazioni di non-proliferazione, strategie efficaci di gestione delle conseguenze degli effetti di un eventuale utilizzo delle armi per la distruzione di massa da parte di terroristi o Stati ostili.
Inoltre, e soprattutto, la nuova natura della minaccia costituita dagli Stati canaglia rende obsoleto un atteggiamento di "difesa reattiva", dato che "una deterrenza basata esclusivamente sulla minaccia di rappresaglia ha assai meno possibilità di successo contro i leader di 'Stati canaglia', assai più disponibili ad accollarsi dei rischi, a mettere in gioco le vite dei propri cittadini e la ricchezza delle loro nazioni" . Inoltre,
"i concetti tradizionali di deterrenza non funzioneranno contro un nemico terrorista le cui tattiche dichiarate sono la distruzione sfrenata e l'uccisione di innocenti; i cui cosiddetti soldati, morendo, perseguono il martirio e la cui più potente protezione è l'assenza dello Stato" .


7. Conclusione

Occorre, a nostro avviso, condividere il giudizio espresso dal Tribunale permanente dei popoli, secondo il quale
"il pericolo di un crollo del diritto internazionale deriva soprattutto dall'aperta e insistente rivendicazione, che accompagna la minaccia di questa guerra, della legittimità della guerra medesima come strumento di soluzione dei problemi e delle controversie internazionali" .
Ne conseguirebbe, secondo lo stesso Tribunale,
"una dissoluzione dell'ONU, la cui ragion d'essere risiede precisamente nella messa al bando della guerra e nel mantenimento della pace, attraverso un complesso sistema di misure che include un uso regolato e controllato della forza sotto la costante direzione del Consiglio di sicurezza".
Molte sono le argomentazioni che possono essere sviluppate per contrastare, anche nel merito della loro opportunità, le velleità statunitensi di combattere il terrorismo e la proliferazione delle armi di distruzione di massa con il ricorso alla guerra. Appare altresì evidente l'irrimediabile illegittimità di quest'ultima, la quale equivale invece a un chiaro crimine internazionale. Essa rappresenta d'altronde oggi il principale, se non unico mezzo, con il quale gli Stati Uniti, cercano di imporre un ordine internazionale funzionale ai loro interessi, identificati con quelli dell'umanità.

Illegittimità della guerra - Roberto Lamacchia
L'ILLEGITTIMITA' DELLA GUERRA
Sotto il profilo morale, tutti gli uomini, in generale, concordano con la condanna della guerra, salvo poi, da parte di alcuni, giustificarla ogni volta perché, in quel caso specifico, si tratterebbe di "guerra giusta"; e così è stata giusta la guerra del 1991 contro l'Iraq perché si trattava di rispondere all'attacco che quel Paese aveva mosso contro il Kuwait; è stata giusta la guerra in Kosovo, perché si trattava di salvare delle vite umane; è stata giusta la guerra contro l'Afghanistan, perché si trattava di azione contro il terrorismo. Ed allora, viene considerata giusta anche la guerra attuale contro l'Iraq, per evitare che quel Paese possa utilizzare armi chimiche e di distruzione di massa contro il resto del mondo.
Se l'aspetto etico è così piegabile alle esigenze del momento, proviamo ad affrontare l'argomento sotto l'aspetto giuridico, forse più rigido ed obiettivo.
Secondo il diritto internazionale, i documenti più rilevanti sono la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo (New York 10/12/1948), la Carta delle Nazioni Unite, il Trattato Nato, nonché le Costituzioni dei singoli stati.
Ora, la Dichiarazione Universale di New York comprende esclusivamente un'elencazione di diritti che devono essere assicurati ai cittadini di tutti gli stati aderenti all'ONU, diritti che devono potersi sviluppare nella libertà e nella pace con espresso divieto di "qualsiasi propaganda a favore della guerra".
La Carta delle Nazioni Unite, nel suo preambolo afferma "Noi popoli delle Nazioni Unite, decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra....." e successivamente ribadisce come il concetto che caratterizza la carta sia proprio quello della pace.
All'art. 1, la Carta ribadisce come sia scopo fondamentale delle Nazioni Unite "mantenere la pace e la sicurezza internazionale ed a questo fine prendere efficaci misure collettive per prevenire e rimuovere le minacce alla pace e per reprimere gli atti di aggressione o le altre violazioni della pace.".
L'art. 2 comma 4 impone, poi, agli Stati membri di astenersi "nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall'uso della forza, sia contro l'integrità territoriale o l'indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite.
Il capitolo 7° prevede, poi, i comportamenti cui si deve attenere l'ONU nel caso di minacce alla pace e di atti di aggressione e stabilisce che il Consiglio di Sicurezza, in questi casi, debba accertare l'esistenza di una minaccia alla pace, compiere raccomandazioni ed assumere misure, a sensi degli artt. 41 e 42, per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale; non può trattarsi, ovviamente, di azioni equiparabili alla guerra, pena, altrimenti, un'insanabile contraddizione con i principi stessi che informano la Carta dell'ONU.
Quanto al Trattato della Nato, l'art. 1 prevede che le parti si impegnino a comporre con mezzi pacifici qualsiasi controversia internazionale e ad astenersi dal ricorrere all'uso della forza, assolutamente incompatibile con gli scopi delle Nazioni Unite.
L'art. 5, così spesso richiamato per giustificare gli interventi armati, si limita a prevedere che, nell'ipotesi di attacco armato contro uno degli Stati aderenti alla Nato, ogni altra nazione del Patto intraprenderà l'azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l'uso della forza armata per mantenere la sicurezza nell'Atlantico settentrionale e ciò fino al momento in cui il Consiglio di Sicurezza ONU avrà assunto le misure necessarie per ristabilire la pace.
Quanto alle Costituzioni dei singoli Stati, non essendo possibile tracciarne un quadro complessivo, è sufficiente ricordare come tutte le principali costituzioni, da quella della Quarta Repubblica Francese del 27/10/46 alla Costituzione giapponese del 3/11/46, a quella tedesca, tutte contengono espressi divieti di compiere operazioni di guerra, se non nel caso della guerra di difesa.
Quanto all'Italia, l'art. 11 prevede espressamente il ripudio della guerra ed il rifiuto della forza per la risoluzione delle controversie internazionali. Si è sostenuto da parte di qualcuno, come il Presidente della Camera Casini, che il ripudio totale della guerra debba essere condizionato, a sensi dell'art. 11 II comma Cost., dalla riduzione della sovranità nazionale prevista per l'adesione dell'Italia all'ONU; mi pare, francamente, che si tratti di opinione di scarso pregio, nel senso che un conto è prevedere la cedibilità di quote di sovranità da parte dell'Italia alle Nazioni Unite, altro conto è cedere parte di sovranità su principi sui quali è fondata la nostra Repubblica.
Dunque, dalla disamina sopra compiuta, si può concludere che sia i diritti interni delle singole nazioni, sia il diritto internazionale pubblico escludano la possibilità dell'esistenza della guerra come tale; essa può esistere solo nella forma, completamente diversa, di guerra di difesa nei confronti di un attacco esterno.
Sovente, però, la guerra viene mascherata, dal diritto internazionale, sotto la veste di sanzione nei confronti di comportamenti potenzialmente lesivi della pace compiuti da qualche Stato.
Effettivamente, lo Statuto dell'ONU prevede, oltre alle sanzioni di natura economica e diplomatica nei confronti di uno Stato inadempiente alle risoluzioni ONU, anche l'intervento armato al fine di ristabilire la pace o eliminare elementi potenzialmente pericolosi per la stessa.
Ma deve essere assolutamente chiaro come l'intervento armato di cui parla la Carta dell'ONU non possa mai essere equiparato alla guerra e ciò sulla base di una interpretazione complessiva della Carta dell'ONU e dei principi di diritto internazionale.
Nello spirito di pace che caratterizza detta Carta, che ha tolto, secondo il prevalente parere della dottrina, agli Stati il diritto alla guerra, non è possibile rispondere ad una minaccia alla pace proprio con il ricorso a quella guerra che si intendeva evitare e ripudiare!
Dunque, l'intervento armato è cosa ben diversa dalla guerra e deve consistere nella rimozione di quelle cause che hanno messo in pericolo la pace e deve essere attuato, in ogni caso, dopo avere percorso tutte le vie alternative: deve, cioè, trattarsi di un intervento riparatore e non di un momento di rottura, come è sempre, inevitabilmente, la guerra.
L'intervento armato, che deve essere cosa ben diversa dalla rappresaglia o dall'azione bellica vera e propria, può essere individuale o collettivo; ora, un intervento armato individuale non può che essere considerato, in linea di principio, illegittimo; ma lo stesso deve dirsi quando l'intervento sia collettivo, da parte di un gruppo di Stati che si facciano carico, per loro decisione, dell'ordinamento giuridico internazionale, anche perché è assai probabile che, invece, essi stiano difendendo loro interessi; ed infine, credo che uguale risposta si debba dare quando l'intervento avvenga, da parte della comunità internazionale (l'ONU), ma con modalità tali da costituire una vera e propria guerra.
Da tutto ciò si ricava come unico soggetto legittimato a svolgere l'intera procedura di accertamento della violazione alla pace da parte di uno Stato e di eventuale assunzione di iniziative (nei limiti suddetti) nei suoi confronti, sia l'ONU ed il suo Consiglio di Sicurezza, con il che si deve cominciare ad escludere la possibilità di un intervento da parte di singoli Stati, indipendentemente e fuori dalle decisioni dell'ONU: anzi, un intervento degli Stati Uniti e dei loro alleati più stretti costituirebbe violazione dei principi e delle regole che informano l'attività dell'ONU e dovrebbe, conseguentemente, venire sanzionato dall'ONU stessa.
Esclusa, dunque, l'ipotesi di una guerra senza decisione ONU, resta l'ipotesi di una guerra decisa da quel consesso, che necessiterebbe, in ogni caso, dell'accertamento della violazione e dell'individuazione della sanzione dell'intervento armato come unica possibilità per rimuovere il pericolo per la pace rappresentato dall'Iraq.
Sotto questo profilo, si è ben lontani dall'avere esaurito tutto l'iter previsto dalla Carta dell'ONU, anche se, si ripete, quella procedura è prevista per un caso diverso; infatti, la risoluzione 1441 dell'ONU obbliga l'Iraq a mettere a disposizione degli ispettori i siti ove sarebbero conservati gli arsenali militari e vi si preannuncia la possibilità di gravi conseguenze nell'ipotesi in cui ciò non dovesse essere permesso.
Ad oggi, l'Iraq ha consentito le ispezioni che, però, non hanno prodotto i risultati che gli Stati Uniti si aspettavano.
Ma, in ogni caso, le conseguenze di un qualunque eventuale ritrovamento di armi dovrebbero essere attentamente valutate, al fine di decidere, con una nuova risoluzione dell'ONU, l'eventuale necessità del ricorso all'intervento armato, intervento armato che, per le ragioni che dirò, sarebbe, quantomeno per l'Italia, illegittimo.
Qualora, infatti, il Consiglio di Sicurezza dell'ONU decida per la guerra, i singoli Stati devono valutare la possibilità di ricorrere allo strumento della guerra alla luce delle loro costituzioni; per quanto riguarda l'Italia, non si può che escludere, anche meramente sotto un profilo di diritto interno, tale possibilità.
Il fatto che le Nazioni Unite, attraverso una decisione del Consiglio di Sicurezza, possano decidere la guerra, è circostanza che non può in nessun caso essere sufficiente a superare l'ostacolo costituzionale: è noto come i padri costituenti abbiano scelto la dizione "ripudia la guerra", non per caso, ma dopo un appassionato dibattito e per indicare in maniera inoppugnabile che il concetto della guerra che, purtroppo, era stato accettato da una parte dell'umanità come metodo di sopraffazione, doveva essere definitivamente allontanato dalla nostra società e, dunque, ripudiato.
A volte, le questioni terminologiche appaiono inutili e sterili contrapposizioni, ma a volte, invece, nascondono differenze di contenuti rilevanti; ed allora, non tralasciamo di batterci perché anche nella prossima Costituzione europea vi sia un riferimento al ripudio della guerra, così squillante come quello della nostra Costituzione.
Allo stato, infatti, la formulazione della Carta di Nizza è, sul punto, deludente: essa, infatti, come è noto, si limita ad affermare "I popoli europei ... hanno deciso di condividere un futuro di pace fondato su valori comuni", il che appare, francamente, troppo poco, anche perché sembrerebbe riguardare solo i rapporti tra Paesi dell'Unione Europea.
In conclusione, la guerra, come tale, è esclusa e vietata dagli ordinamenti internazionali; un intervento armato, come quello previsto dalla Carta dell'ONU, non è consentito, alla luce della stessa Carta, nei casi in cui esso costituisca una vera e propria guerra; anche una guerra decisa da Consiglio di Sicurezza dell'ONU sarebbe incostituzionale, per l'Italia, a sensi dell'art. 11 Costituzione.
Torino, 13 Marzo 2003.
Roberto Lamacchia