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Relazione della delegazione degli osservatori internazionali al processo contro avvocate ed avvocati Turchi dell'associazione CHD e sintesi del'incontro con gli Accademici per la pace
Redazione 19 maggio 2019 16:50

Report delegazione osservatori internazionali al processo contro gli avvocati dell’associazione CHD

 

                                                          Silivri (Turchia) 18-20 Marzo 2019

 

Una delegazione di osservatori internazionali (tra cui alcuni avvocati e giuristi dell’Associazione Giuristi Democratici) si è recata ad Istanbul dal 19 al 21 Marzo scorso, per assistere alle ultime udienze del processo contro 20 avvocati appartenenti alla associazione CHD, alla quale aderiscono circa 2000 avvocati turchi, che si è distinta nella difesa dei diritti umani e delle minoranze.

La nostra presenza è stata espressamente sollecitata dal collegio difensivo degli imputati, composto da un centinaio di legali, tra cui diversi presidenti di Consigli dell’Ordine di varie città della Turchia.

Gli avvocati del CHD hanno prestato la loro assistenza in decine di processi politici contro i curdi, hanno difeso le famiglie dei 300 minatori morti nelle miniere di Soma nel 2014, e chi si opponeva agli espropri di interi quartieri destinati a speculazioni edilizie.

Il presidente del CHD, Selcuk Kozgacli, il quale è stato insignito nel 2014 del premio Hans Litten per la difesa dei diritti umani dalla più grande associazione di avvocati tedeschi, ed è anch’egli imputato in questo processo, e trattenuto in carcerazione preventiva dal Settembre 2017 con altri sei avvocati del CHD.

L’accusa è quella di appartenenza ad associazione terroristica, ma i fatti contestati sono di tenore risibile quali l’avere consigliato ai propri assistiti di non rispondere agli interrogatori, indagato se hanno subito torture, consentito ai detenuti di comunicare con il mondo esterno, supportato chi partecipava ad uno sciopero della fame detenuto in carcere.

 È un processo fotocopia di altro già avviato nel 2013 nei confronti degli stessi imputati per gli stessi fatti, tuttora pendente. L’apertura del processo bis ha consentito di mettere in carcerazione preventiva 20 avvocati imputati di terrorismo in relazione all’attività difensiva svolta, incarcerazione non più possibile nel precedente processo.

Nel settembre 2018 la Corte ha rimesso in libertà gli ultimi 12 imputati detenuti, ma a seguito di ricorso immediato del PM, la Corte riunitasi tre giorni dopo aver disposto la scarcerazione, di domenica pomeriggio, senza che alcuna nuova prova fosse stata portata dal PM, disponeva nuovamente l’arresto per 6 degli imputati.

Dopo questo “incidente di percorso”, la Corte è stata integralmente sostituita ed è stato chiamato a presiederla magistrato di sicura affidabilità, già assurto agli onori delle cronache per avere incarcerato il leader del partito di opposizione Demirtas del partito HDP, ed avere irrogato condanne esemplari agli Accademici per la Pace, docenti universitari perseguiti per aver firmato un appello per la fine delle ostilità con il Sud-est kurdo della Turchia.

Le prime udienze del processo si sono tenute nel Settembre 2018; la fase istruttoria si è svolta in tre udienze a Dicembre 2018 quando sono stati sentiti i “testi” dell’accusa; le testimonianze sono state assunte in videoconferenza, alcuni dei testi sono rimasti anonimi, sono stati ripresi con il volto “pixelato”, onde non consentirne il riconoscimento.  Uno dei testi risulta aver già deposto in altri 200 processi contro oppositori del regime, altro dicono che fosse affetto da problemi psichici.

I documenti sono su supporto digitale, non se ne conoscono gli originali, né si è dato sapere in che modo sono entrati nel processo.

Nelle udienze cui assisteremo, le difese svolgeranno le loro istanze istruttorie., ma si sa che il Presidente ha fretta di concludere, e che vuole emettere la sentenza entro il  fine della settimana.

Il processo si svolge nella città di Silivri, a circa 70 km da Istanbul, in un compound militare in cui sono detenuti gli avvocati ancora agli arresti.

La sala dove si svolgono le udienze è enorme, sembra un palazzetto dello sport, può contenere centinaia di imputati e di avvocati, una gradinata per il pubblico e per la stampa, progettata evidentemente per celebrare processi di massa nell’era del Sultano Erdogan.

 

Lunedì 18.03.19

È fatto divieto assoluto agli avvocati parlare con i propri assistiti, dai quali sono separati dal cordone di militari. Gli interpreti ci spiegano che non pare ancora chiaramente definito il capo di imputazione e se lo stesso contenga la contestazione di associazione con finalità di terrorismo.

Gli avvocati difensori  chiedono l’ammissione della loro lista dei testimoni.

La Corte annuncia che rigetterà la richiesta in quanto a Gennaio le difese avrebbero ricevuto la notifica di un termine entro il quale presentare la lista testi entro un determinato termine che è scaduto. Le difese negano di aver ricevuto tale comunicazione, e pare del resto inverosimile che un collegio difensivo di questo livello sia incorso in una decadenza istruttoria.

La Corte a seguito delle proteste “vibrate” della difesa (cento avvocati che battono ritmicamente i pugni sugli scranni per diversi minuti), sembra cedere dopo una breve pausa ammette gli avvocati a sostenere la discussione.  

Ogni volta che Selcuk e gli altri imputati escono ed entrano in aula partono le grida e gli applausi di sostegno.

Alle 19.00 la Corte interrompe la discussione sostenendo che gli avvocati cercano solo di rallentare il processo; dopo una breve pausa dichiara chiusa l’istruttoria, rigetta definitivamente tutte le richieste istruttorie della difesa e rinvia la causa al giorno successivo per le dichiarazioni finali degli imputati 

 

 

Martedì 19.03

La giornata è riservata alle dichiarazioni degli imputati che si avvicendano per interventi di pochi minuti ciascuno al microfono posto sotto la cattedra della corte.

Le difese sono centrate sulle accuse di parzialità e pregiudizio al collegio giudicante, alla sostituzione dei giudici della Corte, alla compressione del diritto di difesa, l’irregolarità delle prove raccolte dall’accusa, sostengono che il processo è già stato deciso e la sentenza sarà fondata su prove raccolte illegalmente, inconsistenti e contraddittorie con accuse per comportamenti che non sono reati.

Interviene alla fine Selcuk che svolge una rassegna delle persecuzioni giudiziarie contro gli  oppositori del regime, del quale ricordiamo le parole conclusive: “in questi lunghi 17 mesi di detenzione ho incontrato, nella cella accanto alla mia, un alto magistrato che in passato mi aveva pesantemente condannato, ma facciano attenzione questo Presidente ed anche i due che gli siedono accanto per controllare in perenne silenzio., La nostra ricusazione investe non solo questa Corte, ma tutto il circolo che la sostiene. Attenzione presidente a non esagerare e a diventare scomodo anche per chi ti ha messo lì perché tu ratifichi una decisione già presa dal altri. Voi siete l’emblema dell’immoralità”.

La Corte sospende l'udienza per qualche minuto ed alla ripresa rientrano gli osservatori internazionali; non sono ammessi né il pubblico né gli avvocati ai quali è interdetto l’ingresso in aula. Parlano ancora alcuni degli imputati, il processo prosegue in assenza dei difensori.

Dall’interno dell’aula si sente il trambusto degli avvocati che battono in modo assordante i pugni sulle porte dell’aula serrate dall’interno, in un crescendo di intensità. Alla fine la porta cede di schianto ed in pochi secondi un centinaio di avvocati si riversa nell’aula, impattando con la linea dei militari schierati. Uno dei legali con un balzo atletico riesce a superare la barriere, scavalcare la balaustra e correre verso lo scranno inseguito dagli agenti tra i tavoli della difesa. Verrà denunciato dalla Corte ed interdetto a partecipare al giudizio. Nel confronto ci sono strattonamenti, spinte, cori dei legali all’indirizzo della Corte una balaustra si spezza. Alla fine la Corte sospende l'udienza odierna aggiornandola all'indomani con la riammissione degli avvocati in udienza.

Mercoledì 20.03.19

Gli avvocati difensori per protesta rispetto all’esclusione del giorno precedente decidono di non partecipare all’udienza; hanno presentato una istanza di ricusazione della Corte, che dovrebbe portare alla sospensione del processo, non potendo una Corte ricusata emettere sentenza prima della valutazione della fondatezza della ricusazione.

L'atmosfera è surreale, l’aula è deserta, salvo uno scarso pubblico ed una ventina di osservatori internazionali, altamente visibili.

Le misure di sicurezza sono impressionanti, almeno un centinaio di militari presidiano l’interno dell’aula; altrettanti sono fuori in ogni angolo e piano del Tribunale, tutti bardati in assetto antisommossa.

Il presidente apre l'udienza e constatata l’assenza dei difensori prosegue comunque dando la parola ad alcuni imputati, quindi annuncia che alle 12.00 verrà letta la sentenza, senza dare alcuna disposizione sulle arringhe conclusive degli avvocati difensori.

Le difese attonite confidano nell’annullamento del giudizio per le macroscopiche illegalità procedurali che lo hanno caratterizzato e la manifesta parzialità della Corte.

Le condanne sono pensanti, per  Barkin Timik, 18 anni e 9 mesi; Ebru Timtik e Ozgur Yilmaz, 13 anni e 6 mesi; Selcuk Kozagacli, 10 anni e 5 mesi; Engin Gokoglu, Aytac Unsal e Sukeyman Gokten 10 anni e 6 mesi; Naclye Demir e Aycan Cicek, 9 anni; Ezgi Cakir, 7 anni. In totale sono stati comminati più di 160 anni dalla 37ma Corte di Assise

Dopo la lettura il Tribunale viene “evacuato”, avvocati, osservatori, pubblico escono in fila indiana in uno stretto corridoio formato da circa 200 che ci accompagnano all’uscita. E’ uno stato di guerra,  a tutti gli effetti.

Fuori sulle scale del Tribunale in un affollato presidio in cui si alternano gli interventi degli avvocati difensori, e viene letta da Fabio Marcelli la dichiarazione del nostro gruppo di osservatori letteralmente attoniti per quanto assistito.

“We international observers, lawyers from Italy, France, Belgium,   Germany, Greece and The Netherlands, representing the Belgian   Council of Bar Associations and Law Society, International Lawyers   Association, Organization of Belgian Germand and French Speaking  Lawyers, Brussels Bar, Liege Bar, International Association of    Democratic Lawyers, European Association of Lawyers for Democracy    and World Human Rights, Italian Democratic Lawyers, Italian   Association of Criminal Lawyers, European Democratic Lawyers, Legal Team, French Bar Association, Central Committee of French Lawyers,   Lawyers without borders France, assisted since its beginning in September 2018 to the trial against the progressist Lawyers  Association CHD.

  • We are shocked because of the flagrant violations of fundamental principles of rule of law such as independence of the judiciary, fair trial and right to defence.
  • The climax was reached yesterday when the President of the Court  abruptly excluded all the lawyers from the possibility to assist to the hearing.
  • We are convinced that at this point this trial is completely null and void.
  • Protesting against the heavy prison terms inflicted we insist on the   immediate acquittal of all defendants, to be attained through all   possible judicial and legal means.
  • We express our solidarity to the defendants in the name of the   
    common struggle for upholding justice and rule of law.

 Istanbul, March the 20th 2019

I colleghi turchi ci raccontano che queste modalità di svolgimento dei processi sono la regola e non l’eccezione. I processi si svolgono al di fuori di qualsiasi regola, e costituiscono una messa in scena per dare copertura formale a condanne esemplari per motivi politici.

Chiediamo se ci possono inviare i testi dei discorsi pronunciati dagli imputati in udienza, per pubblicarli e diffonderli.

 

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LA REPRESSIONE DEGLI ACCADEMICI PER LA PACE IN TURCHIA

 

Report delegazione Giuristi Democratici della missione in Turchia del Marzo 2019

 

La delegazione dei Giuristi Democratici e dell’Unione delle Camere Penali nel corso della missione in Turchia dal 17 al 22 Marzo u.s. ha incontrato una rappresentanza del gruppo degli Accademici per la Pace firmatari dell’appello “NON DIVENTEREMO PARTE DI QUESTO CRIMINE” , sottoscritto nel Gennaio 2016 da 1128 docenti delle Università turche ed internazionali dopo la ripresa delle operazioni militari di Ankara nelle province Sud Orientali del paese nel Kurdistan turco.

Nell’appello gli Accademici condannavano il coprifuoco imposto per settimane nei confronti di diverse città del Kurdistan turco, attaccate con armi da guerra pesanti, e denunciavano il fatto che tali attività comportavano la violazione dei principi del diritto internazionale umanitario. Chiedevano che il Governo avviasse nuovi negoziati con le forze politiche kurde, la cessazione immediata delle ostilità.

Il regime turco ha reagito accusando i firmatari dell’appello di aver «offeso la nazione turca, lo Stato della Repubblica turca, il Parlamento turco, il governo e gli organi giudiziari» e di «propaganda a favore di organizzazione terroristica», procedendo a espulsioni di massa dalle università ed avviando procedimenti penali nei loro confronti.

Alla repressione del governo turco hanno fatto seguito numerose altre adesioni di accademici all’appello che alla fine ha raggiunto 2212 sottoscrizioni.

Dal dicembre 2017  sono stati avviati procedimenti penali nei confronti di 668 accademici, di cui ad oggi risultano definiti con sentenza di primo grado di cui, tutti con sentenze di condanna. Cento di queste sentenze hanno visto condannare gli accademici ad 1 anno e tre mesi di prigione; 4 ad un anno e sei mesi; 14 ad un anno  e dieci mesi; 15 accademici sono stati condannati a due anni e 3 mesi; due a 2 anni e sei mesi;  uno a due anni ed un mese; uno a 3 anni di prigione.

Nonostante siano tutti perseguiti per la sottoscrizione di una identica petizione, sono stati sottoposti a procedimenti processuali differenti, sui quali si sono pronunciate ad oggi 22 diverse Corti, di altrettante città della Turchia, che hanno dato luogo a sentenze differenziate, sulla base di valutazioni del tutto arbitrarie dei vari Tribunali.

Le  condanne sono  contenute al di sotto dei due anni solo se  il condannato accetta un accordo con il Tribunale con il quale dichiara di rinunciare all’appello, ottenendo in tal modo la sospensione condizionale della pena prevista per le condanne sotto i due anni di carcere.

Altrimenti viene inflitta una pena superiore a due anni, e se la sentenza di primo grado verrà confermata dovrà essere scontata la pena.

Dei docenti condannati 27 hanno deciso di fare appello. Un appello si è già concluso con una condanna, mentre gli altri hanno accettato l’accordo per non proporre appello. Nel 25% dei casi i Tribunali hanno dichiarato la responsabilità penale degli imputati, ma hanno differito la pronuncia della condanna, misura alla quale le autorità fanno ricorso in quanto le prigioni sono strapiene.

Alle inchieste penali sono seguite quelle amministrative interne alle università private e pubbliche.

A oggi, a seguito del tentato golpe del Luglio 2016 sono stati espulsi dalle Università 5822 docenti, di cui circa 400 fanno parte del gruppo degli Accademici per la Pace.  Le espulsioni sono effettuate su iniziativa dei rettori, che hanno scelto quali nomi comunicare alle autorità., ed è per questo che non tutti i firmatari hanno perso il posto.

Gli avvocati che difendono le inchieste sugli accademici sostengono che queste sentenze sono “frutto di decisioni arbitrarie” anche perché “secondo le leggi turche firmare una dichiarazione del genere non è un reato, e non solo secondo la normativa sull’anti-terrorismo ma anche secondo il codice penale”; al contrario, “ogni singola frase dell’appello degli accademici rientra nell’ambito della libertà d’espressione”. Sostengono che “in Turchia non esiste un meccanismo giuridico funzionante e che i processi si sono ridotti ad una messa in scena che varia a seconda della congiuntura politica; per cui gli esiti giuridici non sono più conseguenza del diritto positivo ma possono essere i più disparati, con sentenze che sono frutto di motivazioni personali di chi ha il potere decisionale.

È evidente che non vi può essere alcuna indipendenza né libertà della magistratura in un clima politico dove sono stati espulsi circa 3000 giudici e magistrati, e altri 2000 si trovano in stato d’arresto.

Un ricercatore universitario turco, Mehmet Fatih Tras firmatario dell’appello, si è suicidato nel 2017 per il trauma psicologico sofferto dopo essere stato allontanato dal suo ateneo e non essere stato accettato da nessun’altra università.

 

La nostra delegazione si è offerta di invitare in Italia dei docenti universitari appartenenti agli Accademici per la Pace, organizzando degli incontri nelle Università per informare della repressione delle più elementari libertà di manifestazione del pensiero in atto in Turchia, e per promuovere la solidarietà dei nostri ambienti accademici con le Università turche.

 

 

Si riporta il testo dell’appello degli Accademici per la Pace del Gennaio 2016.

 

We will not be a party to this crime!

Academics for Peace

10.01.2016

As academics and researchers of this country, we will not be a party to this crime!

The Turkish state has effectively condemned its citizens in Sur, Silvan, Nusaybin, Cizre, Silopi, and many other towns and neighborhoods in the Kurdish provinces to hunger through its use of curfews that have been ongoing for weeks. It has attacked these settlements with heavy weapons and equipment that would only be mobilized in wartime. As a result, the right to life, liberty, and security, and in particular the prohibition of torture and ill-treatment protected by the constitution and international conventions have been violated. 

This deliberate and planned massacre is in serious violation of Turkey’s own laws and international treaties to which Turkey is a party. These actions are in serious violation of international law. 

We demand the state to abandon its deliberate massacre and deportation of Kurdish and other peoples in the region. We also demand the state to lift the curfew, punish those who are responsible for human rights violations, and compensate those citizens who have experienced material and psychological damage. For this purpose we demand that independent national and international observers to be given access to the region and that they be allowed to monitor and report on the incidents.

We demand the government to prepare the conditions for negotiations and create a road map that would lead to a lasting peace which includes the demands of the Kurdish political movement. We demand inclusion of independent observers from broad sections of society in these negotiations. We also declare our willingness to volunteer as observers. We oppose suppression of any kind of the opposition.

We, as academics and researchers working on and/or in Turkey, declare that we will not be a party to this massacre by remaining silent and demand an immediate end to the violence perpetrated by the state. We will continue advocacy with political parties, the parliament, and international public opinion until our demands are met.