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Intervento del Presidente dei G.D. Roberto Lamacchia al congresso di Area Democratica per la giustizia
Redazione 28 settembre 2021 20:18
Pubblichiamo il testo dell'intervento dell'Avv. Roberto Lamacchia, svolto lo scorso 25 settembre al congresso di Area Democratica per la giustizia, tenutosi a Cagliari
CONGRESSO AREA DEMOCRATICA PER LA GIUSTIZIA 24-26 SETTEMBRE 2021.
 
 
LA CRISI DELLA GIUSTIZIA
 
E’ sotto gli occhi di tutti la profonda crisi che vive la giustizia in Italia, in questa fase storica.
 
C’è chi la attribuisce alla scarsa produttività dei magistrati, chi al numero eccessivo di avvocati che, per sopravvivere, inventano e patrocinano cause che non meriterebbero di essere iniziate; c’è chi ritiene che vi sia un potere occulto della Magistratura in grado di condizionare, attraverso un oculato uso dell’obbligatorietà dell’azione penale e la scelta lottizzata dei Capi delle Procure, la vita non solo giudiziaria, ma anche sociale; c’è, infine, chi ritiene che vi siano troppi diritti per gli imputati che rendono inevitabilmente lunghi i processi penali, mentre nel settore civile, occorrerebbe sacrificare la qualità delle decisioni alla richiesta di celerità del mercato.
 
La triste vicenda Palamara ha ovviamente contribuito ad appesantire la situazione ed a far pesare la critica sullo sfacelo della giustizia sulla Magistratura, senza dimenticare mai, peraltro, gli avvocati, responsabili del numero eccessivo di cause e degli inutili orpelli difensivi che rallentano i processi.
 
A fronte di una simile situazione, purtroppo per molti versi reale,  sembrerebbe necessario un intervento complessivo, simile a quello, unico negli ultimi anni, tentato dal Prof. Flick all’epoca del Governo Prodi.
 
Ed in effetti, la Ministra Cartabia , di cui ho apprezzato l’intervento a questo congresso, è intervenuta sia sul settore penale che su quello civile con  progetti, oggi per la parte penale divenuti legge,  che, però, peraltro incompleti, peccano di una mancata ed approfondita discussione in sede parlamentare, essendo stato costretto il Governo a porre la questione di fiducia per la loro approvazione; tra l’altro, il dibattito che si è svolto soprattutto fuori dalle aule parlamentari è stato sovente fuorviato dalle continue modifiche che i testi subivano prima della loro presentazione in Parlamento, per accontentare le richieste di una parte politica o sociale.
 
Occorrerà, dunque, valutare nel concreto l’efficacia delle nuove misure per comprendere se esse possano, quanto meno, costituire  un argine alla crisi della giustizia.
 
Ma ciò che sorprende maggiormente in questa fase è che l’interesse dell’opinione pubblica, spinta dai mass media, sia volto più che ad un attento esame delle nuove leggi in materia, ad una discussione sull’utilizzo dello strumento referendario come antidoto alla crisi della giustizia.
 
Mi riferisco, ovviamente, solo ai  sei quesiti sul funzionamento della giustizia, poiché quelli su eutanasia e liberalizzazione della cannabis esulano dal discorso strettamente legato alla giustizia.
 
Si tratta, come evidente, di quesiti privi di un nesso che li leghi tra loro, non rispondono all’obiettivo di risolvere  i veri problemi della giustizia (quali l’eccessiva durata dei processi,  il loro numero eccessivo, gli eccessi di burocrazia) non paiono in grado di almeno migliorare il sistema giustizia e sono formulati in maniera quasi incomprensibile per i non addetti ai lavori.
 
Ciò dico prima di entrare nel merito dei singoli quesiti, alcuni dei quali presentano anche aspetti a mio giudizio positivi, quale, ad esempio,  il quesito sui limiti agli abusi della custodia cautelare, perché, in realtà, mi pare che l’iniziativa referendaria abbia come obiettivo vero un attacco demagogico alla Magistratura, colpita qua e là, un po’ sull’elezione del CSM (con un quesito, peraltro,  a mio giudizio, assolutamente irrilevante), un po’ sulla responsabilità diretta dei magistrati (con un quesito che determinerà un profluvio di cause tra l’imputato e le parti del processo ed il loro giudice, con un  arricchimento  certo delle compagnie di assicurazione), sulla loro valutazione (anche qui con un quesito che mi pare scarsamente rilevante) e molto sotto il profilo della separazione delle carriere.
 
E’ evidente l’intento punitivo, senza che, però, ad esso corrisponda, quanto meno, un qualche vantaggio per l’efficientamento della giustizia, e dunque per il cittadino.
 
In altre parole, l’iniziativa referendaria depista l’attenzione dei cittadini dai veri problemi della giustizia, spingendoli invece verso una più facile soluzione, quella di colpevolizzare la Magistratura attraverso l’abrogazione di norme che, in molti casi, mi paiono, come dicevo, francamente irrilevanti per l’interesse del cittadino ad un buon funzionamento della giustizia.
 
Il quesito bandiera dell’iniziativa è certamente quello sulla separazione delle carriere.
 
Io credo che si tratti di questione assai spinosa e che certamente merita un’attenzione particolare, al fine di evitare situazioni spiacevoli.
 
Il problema della separazione delle carriere deve essere visto, a mio giudizio, in maniera assolutamente laica, cercando di trovare soluzioni che evitino inaccettabili commistioni tra Giudice e PM, da un lato, ma che pongano un freno alla tendenza che finirebbe per portare ad una perdita dell’indipendenza del Magistrato, insieme con la rottura del principio di obbligatorietà dell’azione penale.
 
Io credo che le attuali norme sulla separazione delle funzioni, già efficaci, potrebbero essere ulteriormente rafforzate e costituire, così, un rimedio a quei fenomeni di commistione tra Giudice e PM che l’Avvocatura ha da sempre criticato.
 
Si tratta, in definitiva, di approfondire il tema, discuterne collettivamente, valutarne gli aspetti positivi e quelli negativi, operare un bilanciamento tra essi, superando quella contrapposizione, dannosa per i cittadini, Avvocati-Magistrati, che da anni ha contrassegnato il tema.
 
Ma io credo che il vero rimedio alla difficile situazione della giustizia sia costituito, alla base di tutto,  ed unitamente ad una profonda autorifondazione della Magistratura,  dalla ricerca di una comune cultura della giurisdizione che accomuni Magistrati, Avvocati e Accademia, volta, cioè, a creare, per usare una metafora calcistica,  un comune “campo di gioco” che garantisca ai cittadini una più serena valutazione dei loro diritti.
 
Ciò consentirebbe di occuparci, sia sotto il profilo associazionistico che sotto quello della tutela giurisdizionale, con una visione comune, dei veri temi che interessano il cittadino, quelli socialmente più rilevanti e che caratterizzano da sempre l’azione dei Giuristi Democratici, associazione che presiedo: il tema del diritto (e del mercato) del lavoro, il rispetto dei diritti umani, la resistenza contro il riaffiorare di rigurgiti fascisti e nazisti e, soprattutto, la difesa della nostra Costituzione  e la sua applicazione.
 
Sono temi che riguardano la tutela dei diritti dei cittadini, soprattutto di quelli meno tutelati e che ben possono costituire momento di azione comune tra le nostre associazioni.
 
Auguri di buon lavoro a tutti.
 
Roberto Lamacchia