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Svolte e rimozioni. Il divieto per il governo di indurre i cittadini all'astensione - Giovanni Incorvati
Redazione 13 aprile 2016 11:13
Nell'articolo pubblicato nell'allegato Giovanni Incorvati, prendendo spunto dall'invito del Presidente del Consiglio ad astenersi dal voto in occasione del referendum che si terrà il 17 aprile 2016, ripercorre la formazione delle norme penali che sanzionano l'induzione all'astensione.

Giovanni Incorvati

Svolte e rimozioni. Il divieto per il governo di indurre i cittadini all’astensione.

Il recente invito del Presidente del consiglio a disertare le urne, in modo da non far raggiungere il quorum di votanti al referendum sulle trivellazioni marine, fa il paio con il referendum (senza quorum) da lui caldeggiato sulla legge di revisione costituzionale, fatta approvare dal suo governo, la quale prevede un sistema di “elezione indiretta” dei componenti del Senato. Le due iniziative cercano di ottenere lo stesso risultato con mezzi opposti, e anche per questo il loro nesso appare per molti versi oscuro. Ma se si vuole cogliere il disegno unitario che ne è alla base occorre risalire alle radici storiche e istituzionali che definiscono contorni e portata non solo della prima iniziativa, ma anche della seconda.

Per quanto riguarda l’incitamento a astenersi dal partecipare al referendum, che qui ci riguarda più da vicino, gli oppositori invocano l’art. 98 del Testo Unico delle leggi elettorali, d.p.r. 30 marzo 1957, n. 361, che lo vieta per i pubblici poteri:

“Il pubblico ufficiale, l'incaricato di un pubblico servizio, l'esercente di un servizio di pubblica necessità, il ministro di qualsiasi culto, chiunque investito di un pubblico potere o funzione civile o militare, abusando delle proprie attribuzioni e nell'esercizio di esse, si adopera
[1] a costringere gli elettori a firmare una dichiarazione di presentazione di candidati od
[2] a vincolare i suffragi degli elettori a favore od in pregiudizio di determinate liste o di determinati candidati o
[3] ad indurli all'astensione,
è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da lire 600.000 a lire 4.000.000.”

Tale articolo è richiamato espressamente da una legge più recente, la l. 25 maggio1970 n. 352, contenente le norme sui referendum, all’art. 51:

“Le disposizioni penali, contenute nel Titolo VII del testo unico delle leggi per la elezione della Camera dei deputati, si applicano anche con riferimento alle disposizioni della presente legge.

Le sanzioni previste dagli articoli 96, 97 e 98 del suddetto testo unico si applicano anche quando i fatti negli articoli stessi contemplati riguardino le firme per richiesta di referendum o per proposte di leggi, o voti o astensioni di voto relativamente ai referendum disciplinati nei Titoli I, II e III della presente legge.”

Il punto rilevante è nel primo degli articoli appena citati; più precisamente, è quello qui marcato col numero [3]. Indurre i cittadini a astenersi, senza l’uso della violenza e delle minacce, che sono punite dal precedente art. 97, costituisce un abuso quando viene compiuto dal titolare di un pubblico potere nell’esercizio delle proprie attribuzioni, in modi considerati del tutto analoghi a quelli di un ministro di culto dal suo pulpito. Esso inoltre viene equiparato, quanto a gravità, [1] al costringere gli elettori a firmare o [2] al vincolare il loro suffragio, sempre senza violenza o minacce. Ma – si obietta – che si intende per titolari di pubblici poteri? È mai possibile che le più alte cariche dello Stato non possano esprimere il proprio punto di vista sulle questioni politiche più importanti?

... continua nell'allegato