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Rappresentanza politica e processi di riforma - Angelo Cutolo
Redazione 15 gennaio 2007 08:32
Pubblichiamo la relazione tenuta il 20 ottobre 2006 da Angelo Cutolo al convegno "Democrazia, diritti e giustizia al tempo dell'Unione".

RAPPRESENTANZA POLITICA E PROCESSI DI RIFORMA

Siamo in pieno processo di modifiche e riforme che a non stare al passo con i tempi si corre il rischio di passare per conservatore.
Sono riformisti o riformatori a sinistra (spesso il nome distingue la formazione politica o correnti di pensiero anche giornalistico) ma sono riformatori anche a destra, e la cosa è da accettare nel senso che la destra, durante il suo governo ha messo in cantiere, e portato a termine parlamentare, più riforme di quante non se ne siano fatte nei precedenti quaranta anni.
Ma anche oggi il Presidente della Repubblica, convinto riformatore, non esita a dare continui messaggi a che sia ripresa la stagione delle riforme ripristinando un adeguato tavolo di trattative e superando la frattura tra destra e sinistra.
Come dire chi non è riformatore corre il rischio di stare fuori dalla storia, di essere un retrò non al passo con i tempi.
La parola d'ordine che accomuna tutte le forze politiche, culturali, economiche e sociali è appunto riforme.
La cosa dovrebbe fare enorme piacere a tutti quanti si collocano a sinistra. Ed io tra questi, dacchè la battaglia per le riforme è stato un impegno politico proprio della sinistra; se diventa impegno di tutti non resta che gratificarsi di una vittoria politica e culturale.
Questo sentimento ha però qualcosa che va verificato sul campo; riforme ha sempre significato per la sinistra più democrazia politica ed economica, più partecipazione dei cittadini nelle sedi istituzionali (elezioni, governo dei poteri pubblici) e politici (partiti, sindacati, associazioni di vario tipo e genere).
Negli anni ottanta è iniziato un processo di profonde modifiche nell'assetto dei poteri pubblici in conseguenza di fenomeni politici ed economici che hanno visto un nuovo assetto del capitalismo mondiale con la creazione di centri di potere improntati al principio dell'accentramento e della clandestinizzazione.
Tutto ciò ha comportato uno svuotamento di ogni principio di democrazia: partecipazione, controllo, possibilità di incidere sulle decisioni, pur se riguardavano la vita e le condizioni di milioni di individui.
Nel nostro paese è iniziata una forma strisciante di modifiche sostanziali delle istituzioni costituzionali della nostra democrazia, mettendo in crisi il principio della divisione ed indipendenza dei poteri dello stato.
Il primo a soccombere è stato il potere legislativo.
Il processo è stato lungo, dapprima in via di fatto e da ultimo con modifiche formali come quelle partorite dalla bicamerale e dallo scorso parlamento.
Sotto il primo aspetto va evidenziato che un principio fondamentale quale l'indipendenza ed autonomia dei singoli parlamentari non ha mai avuto pratica applicazione, nel senso che ogni parlamentare era legato alla ccdd disciplina di partito, che rimetteva alla sede partitica il comportamento concreto dei singoli, il cui comportamento difforme era sanzionato dalla esclusione dalle liste e l'allontanamento dal parlamento. Tranne il caso dei ccdd franchi tiratori, le cui condotte non sempre erano dovute a diversità di opinioni, ma in più occasioni alla coincidenza dell'interesse personale con un voto parlamentare.
In buona sostanza il parlamento, più che dal complesso di 935 componenti, era sostanzialmente composto dai gruppi parlamentari, i cui orientamenti indirizzavano in maniera abbastanza cogente il comportamento dei parlamentari, e la volontà del parlamento era data dalla somma algebrica e/o aritmetica dei gruppi parlamentari, espressione del partito e della sua organizzazione.
Questo sarebbe il massimo di una democrazia rappresentativa, che vuole un parlamento espressione dei cittadini mobilitati alla politica dai "partiti di massa" capaci di sollecitare, interessare, mobilitare gli elettori.
La rappresentanza politica era sostanziata da milioni di contributi, sollecitati ed offerti non solo in occasione delle elezioni, ma in maniera continuativa.
Tuttavia questo rapporto è entrato in crisi con un progressivo mutamento del rapporto tra partito e propri aderenti, nella direzione di una prevalenza del potere decisionale e favore dei dirigenti capaci di influenzare, emarginare, espellere quanti non fossero d'accordo.
Ciò soprattutto anche grazie ad un meccanismo elettorale che affidava ai partiti costituiti e rappresentati in parlamento il controllo delle procedure per la formazione delle liste e la partecipazione alle elezioni.
Già negli anni ottanta il controllo dei partiti sugli eletti era in avanzata fase di realizzazione e tale da offrire la netta sensazione che i parlamentari fossero sempre più subordinati ai gruppi dirigenti dei partiti che, avendo il controllo della macchina elettorale, avevano altresì la possibilità di includere o escludere i candidati ed i futuri onorevoli. Tutto lo scontro politico all'interno dei partiti si spostava in lunghe riunioni notturne, da cui era semplicemente esclusa ogni possibilità di partecipazione, da cui uscivano le composizioni delle liste, spesso la designazione dei futuri eletti.
Di tal che ogni parlamentare sapeva benissimo di chi era tributario.
Se non ricordo male un dirigente partitico e di stato ebbe a definire l'intero parlamento, e di certo la maggioranza che lo sosteneva ed ancora più di certo i parlamentari del suo partito, una sorta di parco di buoi che potevano al massimo muggire, ma non uscire dallo steccato.
E comunque la dipendenza sempre più stretta dei parlamentari dai dirigenti dei rispettivi partiti, spesso dirigenti di governo, ha di fatto reso il parlamento sempre più succube delle scelte di governo e sempre più incapace di propria autonoma volontà, determinando uno stato di soggezione politica ed operativa nel confronti del governo.
La funzione legislativa era di fatto esercitata dal governo o in via diretta con i decreti legge che di certo sarebbero stati ratificati da un tale parlamento, o con proposte legislative. Credo che ognuno ricordi le numerose rimostranze sull'abuso e la sostanziale illegittimità costituzionale dei decreti legge, adottati quasi sempre al di fuori delle regola costituzionale.
Questo processo di mortificazione della funzione del parlamento dovuto alla prevaricazione dei partiti, si è ulteriormente accelerato con l'introduzione del maggioritario.
Il difetto principale del nuovo sistema elettorale, che all'inizio ebbe largo favore popolare perché consentiva una maggiore e più libera partecipazione - almeno fu vissuto come tale - si rilevò soprattutto nel mantenimento del controllo elettorale nella mani delle strutture di partito, cui venne riservato il diritto di designare sia i candidati che il singolo collegio elettorale.
In definitiva, stante una prevedibilità dell'esito elettorale, il nuovo sistema consegnava ai gruppi dirigenti dei partiti la possibilità di preeleggere i parlamentari decidendone sia la candidatura che l'assegnazione del collegio.
In sostanza: un principio di concorso dal basso degli elettori nella scelta dei candidati impattava con la permanenza di strutture verticali che avevano il potere di decidere sia i candidati che gli esiti elettorali.
Agli elettori una ristrettissima possibilità di scelta: votare si, votare no o starsene a casa.
E la necessità di alleanze tra partiti diversi produsse spesso conseguenze ridicole; elettori di tradizione di sinistra furono costretti dal gioco delle alleanze a votare per candidati che avevano criticato combattuto fino a qualche giorno prima; la necessità di garantire un certo numero di eletti candidandoli in collegi sicuri comportava che lo spostamento di una candidatura a Pordenone aveva incidenze sul collegio di Canicattì, senza che gli elettori avessero la possibilità di obbiettare alcunché e via enumerando.
Ma la l'effetto singolare, e di certo non gratificante, si constatò nel fatto che la necessità di conquistare collegi incerti spinse alla ricerca di candidati di centro, e come tali capaci di pescare voti nello schieramento avversario; le conseguenze: una accentuata corsa al centro, il soffocamento di sbocchi istituzionali per nuove formazioni politiche che non volessero passare per le strettoie dei partiti; un impoverimento delle dialettica politico istituzionale e l'emarginazione delle novità.
E sempre denunziando il progressivo inquinamento istituzionale non va dimenticato che in partiti governati da un capo assoluto (fenomeno conosciuto negli ultimi anni), i parlamentari venivano di fatto eletti dal capo, a suo insindacabile giudizio e per commesse di sua esclusiva pertinenza.
E qui mi fermo poiché andremmo nella cronaca di questi ultimi anni che ha registrato un parlamento letteralmente precettato, costretto a lavorare giorno e notte, e senza soste, per approvare leggi di particolari contenuti, marcando una caduta dei livelli di dignità umana, professionale e parlamentare degli onorevoli costretti a dimenticare o storpiare saperi, filosofie e culture, per restituire al capo quanto avevano ricevuto con lo scranno parlamentare.
Ma come si dice: al peggio non vi è fine. Così si è giunti all'attuale legge elettorale.
Come tutti sanno è una legge che consente in maniera formale, alle strutture centralizzate dei partiti, di eleggere direttamente deputati e senatori decidendone la collocazione nella lista, e per la cui elezione è del tutto ininfluente l'opinione ed il voto dei cittadini.
Così le dirigenze di partito hanno avuto modo di regolare i conti con taluni deputati riottosi che non hanno avuto alcuna possibilità di ricorso al popolo.
La sinistra non la combattè con argomentazioni che ognuno si aspettava: è una legge che allontana gli elettori, che concentra tutto il potere in poche mani che possono anche non essere governate da idee e programmi di interesse pubblico, che crea un ceto politico stabile e senza possibilità di ricambio, che è del tutto antidemocratica. Non vi fu occupazione nel parlamento perché l'aventino è di altra epoca storica; non vi fu appello al popolo contro il parlamento; anzi si proseguì nella pratica di guardare con insofferenza momenti di mobilitazione popolare come accadde con il movimento del 2001 e con le primarie.
Le uniche obbiezioni riflettevano il tempo della riforma (siamo sotto le elezioni, non si cambiano le regole quanto il gioco è iniziato ed altre banalità), ed erano dovute ai sondaggi elettorali che prevedevano una vittoria in pugno e non volevano rischiare con la novità. Con il senno del poi, e sulla scorta del risultato elettorale, è stato un vero colpo di fortuna che il centro destra, influenzato dai medesimi sondaggi (che nella pratica politica hanno sostituito la presenza reale sul territorio e sui problemi), ha creato un meccanismo elettorale che gli ha fatto perdere le elezioni. Forse è il caso della farina e del diavolo.
Ma poi tutti i dirigenti dei partiti della ex opposizione la hanno concordemente usata la nuova legge, decidendo i candidati e la collocazione nelle liste, forti del potere di governare il meccanismo elettorale.
Ed è del tutto prevedibile che il parlamento così designato non potrà avere alcuna autonomia di comportamento, se non sperimentare forme di ulteriore subordinazione al potere esecutivo.
Gli unici brividi saranno forniti da passaggi di fronte, le cui motivazioni non faranno che alimentare sospetti di ogni genere, contribuendo all'inquinamento del clima politico ed alla opinione, sempre peggiore, che i cittadini avranno della politica e dei politicanti.
In ogni caso mi preme evidenziare che, anche senza specifiche riforme, l'autonomia ed indipendenza del parlamento è stata del tutto pregiudicata all'esito di un percorso fatto di comportamenti fattuali, di modifiche dell'impegno politico, della qualità e quantità di partecipazione (sempre più in ritirata e tale da lasciare campo libero a chi è rimasto a fare politica in maniera professionale).
In tale contesto si sono coltivate e portate a termine le riforme della costituzione quasi a ratifica di quanto si era verificato in punto di fatto: rimodulazione dell'assetto dei poteri dello stato, ridefinizione delle funzioni, esaltazione di un processo di accentramento dei poteri nelle mani dell'esecutivo e del suo capo, subordinazione del parlamento e del Presidente della Repubblica a funzioni di sostanziale ratifica dell'operato del governo, contenimento della funzione di controllo di legalità della magistratura.
Il tutto all'insegna del principio della legittimazione a priori dell'attività dei governanti offerta dal popolo italiano nel momento elettorale.
E' il popolo che eleggendo i governanti conferisce ogni potere con prevalenza su ogni altro che non abbia legittimazione popolare.
Qualcuno ricorderà forme di polemica pubblicistica nei confronti della magistratura (corpo di impiegati dello stato) accusata di un travisamento del proprio ruolo con la pretesa di controllare le condotte dei politici legittimati da consenso popolare.
E' il momento elettorale che viene esaltato.
E davvero sarebbe accettabile se fosse inteso come momento deputato ad una scelta tra diverse proposte politiche e con l'indicazione anche di quanti saranno realizzatori della proposta vincente.
E' effettivamente un momento di partecipazione popolare, ma al patto che garantisca una effettiva libertà di scelta che può realizzarsi solo a condizione che si conoscano le alternative con un processo costante di discussione e partecipazione, svincolato da altri interessi se non quello di conoscere al meglio le proposte politiche, la genesi e le finalità; naturalmente relazionato alla capacità del singolo.
Non si pretende una conoscenza di tutti e su tutto, ma che sia garantita la libertà di informazione e di partecipazione alla definizione delle scelte.
Del che è lecito fortemente dubitare.
Lo attesta la lunga e controversa battaglia sul controllo dei mezzi di informazione che ha visto variamente sacrificato il diritto ad una informazione pluralista e che oggi rappresenta un formidabile terreno di scontro tra maggioranza ed opposizione, entrambe interessate ad un controllo.
Gli ultimi anni hanno abbondantemente mostrato una perniciosa influenza dei mezzi di informazione, il cui controllo è stato in grado di influire pesantemente sull'orientamento elettorale di fasce di popolazione, almeno di quelle capaci di fare maggioranza e determinare governi e scelte di politica generale.
Influenza tanto più grande quanto più è diventato l'unico mezzo di propaganda elettorale affidato a professionisti della parola senza contraddittorio.
La recente campagna elettorale si è risolta in lunghi e noiosi dibattiti nei quali contava più bucare il video che la pregnanza degli argomenti discussi.
L'elettorato italiano è stato ridotto ad un immenso uditorio cui era dato soltanto consentire o dissentire dalle poltrone di casa o dal tavolo di cena. Nessuna possibilità di partecipazione, ma solo ricettori di messaggi più o meno ben confezionati.
Sempre più la politica è diventata affare esclusivo di professionisti, di facce sempre uguali a se stesse per lunghi decenni ed oltre.
Tutti gli strumenti di partecipazione che storicamente hanno fatto l'essenza della partecipazione democratica sono stati isteriliti, ridotti a mere scatole vuote privi di veri momenti di passione politica.
Più in generale si è assistito ad un processo di assunzione di ogni discorso politico, nelle mani di un ceto professionale che ha mostrato, in varie occasioni, insofferenza e fastidio per momenti di autentica partecipazione popolare.
Ricordo per tutti le immense manifestazioni dei primi anni duemila e il rigetto, se non la repulsione infastidita, verso forme di partecipazione capaci di momenti di critica non gradita, seppure supportata da vera partecipazione democratica: Genova, ma ancora prima Napoli e poi Firenze, le grandi manifestazioni per i diritti dei lavoratori, la tutela del posto di lavoro contro una sempre più praticata precarizzazione, i movimenti per la pace, le varie forme di girotondi sulla libertà di informazione, l'indipendenza della magistratura, ma anche le ccdd primarie.
In altri termini si è alimentata una separazione sempre più netta tra politici e cittadini; siamo al governo dei migliori, anche se non per nascita, ma per selezione di un meccanismo elettorale, interamente nella mani degli eligendi.
In questo contesto la rappresentanza tende a concentrarsi nelle mani dei soliti, con scarsissimo e controllato ricambio, fino a far prefigurare la creazione e stabilizzazione di un vero e proprio ceto politico professionale.