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La riforma delle professioni - Convegno
Redazione 8 gennaio 2007 09:40
TUTELA DEI DIRITTI E RIFORMA DELLE PROFESSIONI: I GIURISTI DEMOCRATICI SI CONFRONTANO CON LE ISTITUZIONI

Associazione Giuristi Democratici

TUTELA DEI DIRITTI E RIFORMA DELLE PROFESSIONI:
I GIURISTI DEMOCRATICI SI CONFRONTANO
CON LE ISTITUZIONI

Mercoledì 31 gennaio 2007, ore 11,00
Aula Magna della Corte d'appello penale
Via R. Romei, 2 (P.le Clodio)

PRESIEDE: Pasquale VILARDO (Avvocato, Giuristi Democratici)

Ore 11,00
Relazioni introduttive sulle proposte di legge Pietro ADAMI, Cesare ANTETOMASO, Roberto DE ANGELIS (Avvocati, Giuristi Democratici)

INTERVENGONO:
Dr. Antonio BEVERE (Presidente sez. VIII Tribunale penale) Sen. Massimo BRUTTI (Commissione Giustizia, cofirmatario DDL 963 "Calvi") On. Paolo CENTO (Sottosegretario Min. Economia) Sen. Anna FINOCCHIARO (Commissione Giustizia, cofirmataria DDL 963 "Calvi") Dr. Domenico GALLO (Magistrato Tribunale civile) On. Alfonso GIANNI (Sottosegretario Min. Sviluppo Economico) Avv. Paolo NESTA (Consigliere dell'Ordine degli Avvocati di Roma) Avv. Giuliano PISAPIA (Presidente Commissione Riforma Codice Penale) Avv. Francesco ROMEO (Camera Penale di Roma) Simonetta CRISCI, Maria Luisa D'ADDABBO, Arturo SALERNI (Avvocati, Giuristi Democratici)

CONCLUSIONI: Fabio MARCELLI (Portavoce Giuristi Democratici Roma)

Ore 15,00
Dibattito

Per informazioni: gdroma@hotmail.it

Resoconto sul convegno
L'iniziativa ha visto la presenza di oltre 150 persone, in larga parte avvocati ma anche magistrati e personale di cancelleria - in questi giorni al centro delle cronache per altri ben noti motivi. Dopo le relazioni introduttive di Pietro Adami e Cesare Antetomaso (incentrate sui disegni di legge Mastella e Calvi e prevalentemente sugli aspetti riguardanti società professionali-socio di capitale, tariffe, pubblicità, patto di quota-lite, esercizio continuativo della professione, patrocinio avanti alle magistrature superori) e quella di Roberto De Angelis (dedicata ai molteplici problemi della difesa d'ufficio e del patrocinio a spese dello Stato e in particolare alla non corretta né uniforme applicazione della relativa disciplina nell'ambito delle varie Corti d'Appello), nell'assemblea presieduta da Pasquale Vilardo si sono succeduti gli interventi dei vari ospiti, che qui si riportano in forma estremamente sintetica. L'assenza dei senatori invitati, dovuta al timore di "andare sotto" nelle votazioni d'aula (cosa che come noto è successa, ma il giorno seguente, sull'Afghanistan), non ha impedito -anzi, in certo qual modo ha forse favorito- un dibattito molto partecipato, di fatto la prima occasione per gli operatori del diritto a Roma per esprimersi su queste tematiche.
Il sottosegretario al Ministero dell'Economia Paolo Cento ha affermato di condividere molte delle perplessità espresse nelle relazioni: "Nella maggioranza -ha detto- siamo in molti a ritenere fondate certe vostre doglianze. D'altronde, il mercato non può certo giungere a dominare professioni costituzionalmente protette". Si è poi dichiarato "disponibile ad aprire un tavolo di discussione" per quanto di competenza del proprio Ministero.
Antonio Bevere, Presidente dell'VIII sezione penale del Tribunale di Roma, ha svolto un richiamo alla funzione comune a giudici e avvocati, sottolineando peraltro il ruolo dell'avvocato "mediatore della violenza dello Stato nei confronti dell'individuo", figura mitizzata fino a trent'anni fa, poi caduta in disgrazia a fronte "dell'eroicità attribuita al Pubblico Ministero da alcuni organi di stampa di sinistra" e che oggi rischia di venire ancora più sminuita dai progetti di riforma.
Domenico Gallo, Presidente della sezione Ibis civile del Tribunale di Roma, ha criticato la "filosofia liberista" sottesa ad entrambe le proposte di riforma (pur riconoscendola più temperata nel ddl Calvi), e con esse l'infausto disegno più generale di colpire i corpi intermedi della società senza, dall'altro lato, svolgere una reale funzione a tutela degli interessi deboli.
In linea con le posizioni del C.N.F. l'intervento di Paolo Nesta, membro del Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Roma, che ha però marcato maggiormente il proprio dissenso sull'abolizione dei minimi tariffari, sulla introduzione del patto di quota-lite e sull'ingresso del socio di capitale.
Francesco Romeo, segretario della Camera Penale romana, ha ribadito la contrarietà delle Camere Penali all'"aziendalizzazione" della professione. Ha notato che negli ultimi anni l'attenzione si è spostata dai diritti del cittadino ai diritti del consumatore. Ed in questo non si ravvisa solo una distinzione terminologica, ma uno scadimento vero e proprio dei diritti dell'individuo. Romeo ha trattato poi il tema della difesa d'ufficio e del patrocinio a spese dello Stato, definendo la loro riforma, allo stato, "un fallimento: anziché un difensore per un processo, il meccanismo perverso innescato dall'art. 974 c.p.p. ha fatto sì che ci sia in realtà un difensore che gira per tutti i processi", e insistendo quindi per un immediato intervento in tal senso, oltre che sulla specializzazione.
Il dibattito svoltosi successivamente ha visto numerosi interventi di avvocati, alcuni dei quali dissenzienti su taluni punti con le relazioni introduttive e con il resto degli intervenuti. In particolare Pierluigi Panici, dopo una dura critica all'operato degli Ordini nella fase di confronto con il governo, si è soffermato sull'utilità in taluni casi del patto di quota-lite, in particolare con riferimento ai clienti meno abbienti, rappresentando la sua esperienza di giuslavorista, laddove il lavoratore licenziato certo non può anticipare le somme per una controversia. Antonio J. Manca Graziadei ha poi posto l'attenzione sulla necessità, a suo avviso, di potenziare e rivedere la procedura disciplinare. Prima del dibattito, gli interventi di Simonetta Crisci, Maria Luisa D'Addabbo e Arturo Salerni si erano concentrati ognuno su singoli aspetti all'ordine del giorno così come quello di Pasquale Vilardo, e pur nella diversità ed articolazione delle posizioni hanno confermato in gran parte l'orientamento esposto nelle relazioni introduttive e riassunto nelle conclusioni di Fabio Marcelli, frutto dell'elaborazione del gruppo di lavoro dei Giuristi Democratici di Roma, che di seguito si espone con riguardo alle singole tematiche trattate.
In generale, il gruppo di lavoro dei Giuristi Democratici di Roma sulla riforma della professione forense ritiene di dover dare un giudizio negativo sul ddl Mastella e complessivamente positivo su quello Calvi, seppure con importanti distinguo.
-TARIFFE: vi sono numerose ragioni di contrarietà ad una mera eliminazione dei minimi tariffari.
L'intendimento dell'attuale esecutivo prevede anche nel campo della professione forense una concorrenza basata sui prezzi. Si sono già specificati i motivi per cui ciò non trova il nostro accordo in termini di principio (cfr. il documento "dei quaranta", già pubblicato su "Liberazione" del 4 ottobre 2006 e sul sito web dei G.D.). I minimi inderogabili svolgono però oggi diverse funzioni, non sempre immediatamente percepibili, e che devono in ogni caso essere salvaguardate.
Essi costituiscono una sorta di salario minimo, impediscono che gli avvocati siano trasformati in lavoratori dipendenti di grandi soggetti economici, oltre a svolgere una funzione nel quadro della liquidazione giudiziale degli onorari a carico del soccombente e nel patrocinio a spese dello Stato.
Alcuni dei pericoli che nascono dalla derogabilità degli onorari sono attenuati nel ddl Calvi, che all'art. 12, commi 4 ss. prevede il mantenimento di minimi e massimi tariffari, e prende in considerazione i minimi ad alcuni dei fini sopra indicati (liquidazione giudiziale, patrocinio a spese dello Stato).
Resta il problema di impedire che si avvii un processo di trasformazione degli avvocati in lavoratori dipendenti di grandi imprese. Allo stato attuale l'impresa che intende "assumere" un avvocato rischia sempre di dovere poi pagare la parcella intera.
Non si tratta di salvaguardare i consistenti onorari attualmente percepiti dagli avvocati che hanno rapporti con i "macroclienti", ma soprattutto di evitare una trasformazione radicale, con conseguente involuzione, della nostra professione. L'avvocato non è il procuratore di un'impresa, né un produttore seriale di modelli prestampati, e deve essere in grado di difendere qualsiasi cliente in qualsiasi causa.
Semmai, risulterebbe opportuno operare un ridimensionamento degli scaglioni tariffari, la cui non sempre corretta operatività ha dato talvolta luogo a fondate rimostranze degli utenti.
-ESERCIZIO CONTINUATIVO DELLA PROFESSIONE: assoluta contrarietà all'art. 22 del ddl Calvi, che intenderebbe ancorare ad un'inaccettabile idea classista la professione di avvocato, riconoscendo "esercizio effettivo e continuativo della professione quando l'avvocato dichiari, ai fini dell'imposta sul reddito (IRE), un reddito netto derivante dall'esercizio della professione in misura superiore" ad un minimo stabilito ogni tre anni dal CNF e dalla CPA.
-MAGISTRATURE SUPERIORI: altrettanta contrarietà viene espressa nei confronti dell'art. 23 del ddl Calvi, che posticipa di ben sei anni il patrocinio avanti alle giurisdizioni superiori (da quattordici a venti), discriminando i giovani avvocati senza alcun motivo.
-PRATICA PROFESSIONALE: mantenimento dell'attuale periodo minimo prescritto (ventiquattro mesi), eventualmente preceduto da quella "preselezione informatica" che il ddl Calvi pone invece come preliminare allo svolgimento dell'esame. Anticipando la selezione si evita che persone seguano per anni un percorso di formazione professionale che, poi, li espelle, in un momento in cui altri percorsi professionali si sono chiusi. A nostro avviso la selezione deve in gran parte precedere la formazione, che poi deve essere seria e volta al raggiungimento della capacità di esercitare la professione. Pertanto, superata la preselezione, che avverrebbe sulla base di conoscenze in gran parte teoriche (come avviene oggi), il percorso formativo deve essere volto all'effettivo graduale apprendimento della professione (es. un primo "esonero" dopo il primo anno per conseguire il titolo attualmente denominato di "praticante abilitato").
-ACCESSO ALL'ESAME DI STATO: assoluta contrarietà a qualunque ipotesi di "numero chiuso", ventilata da certi settori. Peraltro, reputiamo pericoloso e controproducente mascherare misure corporative con "esigenze di tutela del cittadino-utente", tese ad evitare un "peggioramento della qualità del servizio offerto". Simili esigenze risultano del tutto strumentali ad ostacolare l'accesso alla professione, e restano pur sempre dell'utente e non nostre; per cui, non risultiamo credibili nel farcene portatori. La qualità del servizio offerto si tutela diversamente, come a tutti noto. Peraltro, l'esperienza delle aule di giustizia ci insegna che l'"impreparazione" (rectius, mancanza di aggiornamento) è generalmente trasversale, tra colleghi anziani e giovani. Altrettanto irricevibile riteniamo la richiesta di "maggiore severità" nella valutazione delle prove d'esame: va stigmatizzato ogni tentativo di introdurre impropri "filtri" che non guardino alla sostanza degli elaborati svolti. Bisogna cioè esigere la certezza che le prove scritte per l'esame di avvocato vengano giudicate per ben altro che un errore di ortografia (sicuramente possibile in tre prove estenuanti che si succedono a distanza di poche ore una dall'altra), bensì per i contenuti, la rispondenza del tema trattato alla traccia prescelta, la compiutezza espositiva (e quindi, eventualmente, la scorrevolezza anche a livello sintattico del linguaggio adoperato), etc.
-ATTIVITÀ RISERVATA - CONSULENZA STRAGIUDIZIALE: corretta appare la riserva operata in favore degli avvocati dal ddl Calvi all'art. 25, diversamente da quanto invece previsto dal ddl Mastella. L'esperienza comune testimonia di non infrequenti casi in cui consulenze rese da soggetti improvvisati e privi delle necessarie cognizioni hanno compromesso gravemente gli interessi dei cittadini.
- SOCIETÀ PROFESSIONALI: totale dissenso rispetto a quanto previsto dal ddl Mastella all'art. 91, lett. b. Alla stregua di quanto previsto in questa norma, infatti, è consentita la partecipazione di soci non professionisti, in contrasto con il principio della personalità professionale (più volte ribadito dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato) e con la dignità del libero professionista, consentendo la creazione di realtà nelle quali soci di capitale sfruttano le competenze dei professionisti, asserviti ad una condizione di sostanziale dipendenza, in danno dei principi di autonomia ed indipendenza dell'avvocato. È pur vero che detta partecipazione è prevista in misura "minoritaria", ma l'introduzione del socio di capitali, anche se minoritario è già un mutamento epocale, vieppiù pericoloso giacché non garantisce da un'eventuale futura denuncia di "discriminazione" del socio di capitali (tra l'altro, nulla impedisce che cliente e socio di capitale possano essere lo stesso soggetto). In merito si ribadisce poi quanto già scritto. Lo studio professionale artigianale si trasforma nello studio industriale, sul modello americano. Il flusso di capitali che potrà verificarsi condurrà ad un modello professionale differente. La norma assume portata rilevante in combinazione con lo scardinamento dei minimi tariffari e l'introduzione della pubblicità. Il capitale, potrà così giocare un ruolo rilevante che, fino ad oggi, non poteva avere.
- PUBBLICITÀ: un chiarimento è necessario. È evidente che non è la pubblicità a consentire al cittadino una scelta più consapevole, ma l'informazione. La pubblicità si caratterizza per il linguaggio suggestivo, e di per sé introduce elementi distorsivi dell'informazione.
Chiunque abbia elementari nozioni di economia politica sa che l'informazione è una delle condizioni della concorrenza perfetta, mentre la pubblicità trasforma il mercato di concorrenza perfetta in mercato di concorrenza imperfetta (tra i tanti: Di Nardi, Economia della produzione, pag. 182). Come più volte osservato, consentire la pubblicità premia solo gli studi che hanno maggiori capitali da investire, dando loro un vantaggio competitivo indebito. Inoltre i costi pubblicitari non possono non gravare sul cliente finale.
L'informazione è il contrario. Per garantire una maggiore trasparenza, di cui beneficerebbe l'intera categoria, è necessario che il cittadino possa attingere ad informazioni chiare, verificate, non suggestive. Si tenga presente che tali assunti non sono frutto di principi antimodernisti, viceversa il mondo dell'impresa si è da tempo posto il problema di trasmettere informazioni, riservate agli addetti ai lavori, con modalità trasparenti (es.: le certificazioni di qualità, le attestazioni SOA, il bilancio etico, ambientale, etc.).
In termini concreti si ritiene che si debba esclusivamente consentire la creazione di una pagina web dedicata dal Consiglio dell'Ordine ad ognuno degli iscritti, con eventuale possibilità di collegamento al sito web del professionista.
Resta una forte contrarietà ad una forma di concorrenza basata sulla pubblicizzazione di prezzi bassi, e a fortiori di patti di quota-lite. Si rinvia a quanto scritto in merito.
-PATTO DI QUOTA LITE: il patto di quota lite rompe con la tradizione dell'avvocato terzo in causa, che mantiene un distacco dalla vicenda del cliente (forse anche dal cliente).
È comunque un indice dell'evoluzione della professione, e del ruolo dell'avvocato nella controversia.
Non contiene, di per sé, profili di abuso o di approfittamento, anche se fa leva su elementi suggestivi.
Tuttavia proprio per la suggestività (non paghi, paghi se vinci), può prestarsi ad abusi.
Tali abusi colpiscono tanto il cittadino, quanto la categoria degli avvocati, che non dovrebbe accogliere profittatori. Si consideri poi che, come già messo in luce, la suggestività del patto di quota lite diviene particolarmente pericolosa se se ne consente la pubblicizzazione. I due mezzi suggestivi associati tra loro possono arrecare gravi danni.
Peraltro, se regolamentato, con garanzie e limiti per entrambe le parti potrebbe non generare eccessivi problemi, e tutto sommato, consente ai non abbienti di agire in giudizio ed una mutualità (positiva) tra chi vince la propria causa e chi la perde, non aggravando eccessivamente la posizione del perdente.
Ciò vale, è evidente, solo per alcuni tipi di materie e controversie. Inoltre, il patto è già largamente diffuso in alcuni campi del diritto (quelli in cui dovrebbe essere ammesso). Ciò significa che la sua formale ammissione consente una regolamentazione che allo stato non sussiste. In altri termini se, ad esempio, si consente un patto di quota lite limitato al 25%, come nei paesi in cui è ammesso, la norma potrebbe avere l'effetto positivo di arginare gli abusi, e di consentire il diffondersi di patti scritti da firmare all'inizio della causa.

I COORDINATORI DEL GRUPPO DI LAVORO DEI G.D. ROMANI
SULLA RIFORMA DELLA PROFESSIONE
Pietro Adami
Cesare Antetomaso