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D.L. 89/11 in materia di espulsione, trattenimento e reati collegati: una normativa ingiusta e inefficace
Redazione 1 agosto 2011 18:05
Comunicato congiunto ASGI (Associazione Studi Giuridici sull'Immigrazione) - GIURISTI DEMOCRATICI - MAGISTRATURA DEMOCRATICA sul decreto legge per il tardivo recepimento della direttiva europea 2008/115/CE.
Le scelte di politica legislativa e le scelte tecniche manifestano un atteggiamento scopertamente ostile nei confronti dei migranti e portano a un quadro legislativo complessivo peggiorativo rispetto alla direttiva.

Il testo del comunicato nell'allegato

1. A sei mesi dalla scadenza del termine previsto per il recepimento della direttiva 2008/115/CE sul rimpatrio di cittadini di paesi terzi e dopo la sentenza della Corte di giustizia nel caso El Dridi vs Italia (che ha ravvisato un irriducibile contrasto tra le norme penali del T.U. Immigrazione in vigore nel nostro Paese ed i principi e criteri affermati nella stessa direttiva), il Governo italiano ha emanato il decreto legge n. 89 del 23 giugno 2011, in vigore dallo scorso 24 giugno, con cui ha proceduto ad una sostanziale riscrittura della disciplina dettata dal T.U. 286/98 in materia di espulsioni e trattenimento ed in materia di reati ad essi collegati.
L’assetto giuridico complessivo scaturito dall’intervento riformatore suscita moltissime riserve, che attengono a due distinti piani: quello delle scelte di politica legislativa, cui non sono estranee le stesse opzioni maturate in sede europea; e quello delle concrete soluzioni tecniche compiute dal legislatore italiano nel suo intervento attuativo, che mostrano un segno comunque peggiorativo rispetto ai contenuti della Direttiva.


2. Giova intanto rilevare, sotto il profilo delle scelte di politica legislativa, come permanga immutata la prospettiva di fondo, accolta dal T.U. del 1998 ed accentuata dalla legge Bossi-Fini, che da un lato considera l’irregolarità dell’ingresso e del soggiorno come una situazione tendenzialmente non emendabile, rinunciando a prevedere meccanismi di sanatoria – fondati sul decorso del tempo e sulla presenza ex post dei requisiti richiesti dalla legge per il soggiorno irregolare – che incentiverebbero i comportamenti virtuosi ed il processo di inserimento del migrante; e che dall’altro lato prevede l’espulsione quale unica forma di sanzione, robustamente presidiata dallo strumento penale, per i casi di irregolarità.
Le critiche sul versante delle scelte politiche, come detto, non risparmiano quelle assunte in sede europea, se è vero che la decisione più controversa, quella della dilatazione del termine di durata massima della permanenza nei Centri di identificazione e di espulsione, portato ad un anno e sei mesi, è conforme alle possibilità contemplate dalla stessa Direttiva. E’ questa una scelta inaccettabile: persone che non hanno commesso alcun reato potranno essere ristrette in strutture spesso totalmente inadeguate a rispettare standard minimi di civiltà, oltretutto senza che possano essere garantite forme di controllo giurisdizionale o comunque istituzionale sull’effettivo rispetto dei loro diritti fondamentali nel periodo di internamento.
Va considerata la costante inefficacia della stessa misura del trattenimento nei CIE giacché i dati evidenziano che tanto nell’ultimo triennio che in precedenza poco più di un terzo dei trattenuti è stato effettivamente rimpatriato; difficilmente l’abnorme allungamento dei tempi del trattenimento determinerà una sensibile modifica in tal senso, configurandosi quindi come mera misura afflittiva fine a se stessa, applicata, in difformità da quanto previsto dalla Direttiva europea, senza alcuna ragionevole prospettiva di esecuzione dei rimpatri. Qualora altresì si consideri che la permanenza quotidiana di una persona in un CIE ha un costo che si aggira intorno ai 50 euro al giorno, ne discende che in caso di permanenza in un CIE per un anno e sei mesi, il costo complessivo, per ciascun internato, escluse le ingenti spese per le attività di sorveglianza della pubblica sicurezza, ammonterebbe a circa 30.000 euro; si tratta di somme ingenti che ben potrebbero essere impiegate in percorsi di inserimento dei migranti ovvero, quantomeno per finanziare progetti individuali di rimpatrio volontario.


3. Va peraltro segnalato che anche quando le scelte della Direttiva possano essere condivise, in quanto funzionali alla estensione delle garanzie delle persone sottoposte alle procedure di rimpatrio, la disciplina dettata dal legislatore interno mantiene un carattere deteriore e sembra in realtà ispirata all’intento di aggirare le previsioni europee.
Il nuovo regime dell’allontanamento, infatti, mutua solo apparentemente dalla direttiva rimpatri il carattere della gradualità e della progressività dell’intervento coercitivo (partendo dal rimpatrio volontario ed arrivando solo alla fine all’accompagnamento coattivo), rischiando di fatto di condurre, nella maggioranza dei casi, ad una sostanziale riproposizione dell’accompagnamento coattivo alla frontiera quale strumento ordinario di esecuzione dell’allontanamento (art. 13, comma 4, D.lgs. n. 286/1998). Come emerge anche alla luce delle direttive contenute nella circolare n. 17102/124 del Dipartimento adottata il 23 giugno scorso ed indirizzata a Prefetti ed altre autorità di Pubblica sicurezza, la possibilità di derogare al regime ordinario del rimpatrio volontario in presenza di situazioni (come il pericolo di fuga) che le Forze di polizia sono invitate a presumere sulla base di indici del tutto discutibili (quale l’indisponibilità, anche incolpevole, di un passaporto o dei documenti equipollenti), di fatto svuotano le garanzie previste dalla direttiva rimpatri, consentendo di non applicare le misure prescrittive di cui all’art. 14 comma 1 bis D.lgs. n. 286/1998 e quindi di disporre agevolmente il trattenimento nei CIE, la cui centralità nella gestione complessiva dei meccanismi del rimpatrio risulta ulteriormente rafforzata e sulla cui disciplina, peraltro, si addensano le critiche maggiori.
Sempre sul versante della critica alle soluzioni tecniche adottate dal legislatore italiano, va evidenziato come anche la disciplina di diritto interno in materia di trattenimento continui a presentare profili di chiara incompatibilità con la Direttiva.
Ciò sia per quanto concerne i presupposti del trattenimento, che sembrano consentirne l’applicazione anche per fatti non riconducibili a condotte di mancata collaborazione alla decisione di rimpatrio (si pensi al caso della indisponibilità del vettore, che la direttiva considera quale ipotesi di giustificato rinvio dell’allontanamento e non già come motivo legittimante il trattenimento); sia per la stessa disciplina del trattenimento, laddove essa sembra consentire addirittura una reiterazione dei relativi provvedimenti in caso di inefficacia del trattenimento, con l’emanazione di nuovi provvedimenti espulsivi e nuovi trattenimenti, dando vita ad un circuito senza fine di compressione della libertà personale, che è esattamente ciò che la Direttiva intende evitare) Si tratta di ambiguità ed incoerenze del testo normativo, che imporranno ai giudici di adottare interpretazioni comunitariamente orientate.
Parimenti censurabile, sul versante delle misure coercitive disposte dal Questore, la mancata previsione di un qualunque rimedio effettivo avverso i provvedimenti di convalida del Giudice di Pace, non potendo essere considerato tale l’eventuale ricorso per cassazione, che per i tempi e le modalità risulta del tutto inefficace ad incidere concretamente sulla condizione della persona trattenuta.


4. Per quanto poi attiene alle novità intervenute sul settore penale, oltre alla previsione di ulteriori fattispecie di reato (per la violazione delle misure coercitive impartite ai sensi degli artt. 13, comma 5.2. e 14, comma 1 bis, D.lgs. n. 286/1998), che vanno nella negativa direzione di una ulteriore estensione della penalità in un settore già gravemente sovradimensionato, va evidenziato il nuovo regime sanzionatorio previsto per i reati di inosservanza dell’ordine del questore, giustificato dal nostro Governo con la necessità di uniformarsi alla recente pronuncia della Corte di giustizia nel caso El Dridi vs Italia: il giudice (di pace) ora potrà scegliere tra la l’applicazione di una pena pecuniaria, prevista in luogo della reclusione, e l’espulsione quale sanzione sostitutiva della stessa pena pecuniaria.
Occorre rimarcare con forza che la scelta di attribuire la competenza al giudice di pace e non al giudice ordinario, in una materia così complessa, e delicata, attinente direttamente alla libertà della persona, con evidenti esigenze della massima indipendenza, determina uno stravolgimento di questa giurisdizione, nata e prevista in un’ottica assai diversa, con funzioni conciliative e non repressive.
Tale scelta suscita inoltre ulteriori riserve, dal momento che il ricorso alla sanzione penale è destinato a perpetuare l’inesorabile opera di ingolfamento degli uffici giudiziari, ora dei giudici di pace, gravati da un numero insostenibile di procedimenti e chiamati a supplire con lo strumento penale alla scarsissima efficacia amministrativa delle procedure espulsive.


5. Ancora una volta, quindi, ci troviamo in presenza di un intervento ispirato ad una concezione emergenziale della disciplina dell’irregolarità e del soggiorno, che tradisce un atteggiamento scopertamente ostile nei confronti dei migranti e che si muove in una direzione opposta a quella di una disciplina giusta ed efficace dell’immigrazione.


Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione
Associazione nazionale giuristi democratici
Magistratura democratica