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Ddl decarcerizzazione, messa alla prova e procedimenti per irreperibili: fare di più contro la tortura democratica del sovraffollamento carcerario
Redazione 31 ottobre 2012 21:43

Disegno di legge in materia di pene detentive non carcerarie, messa alla prova e procedimenti nei confronti di imputati irreperibili: è necessario fare di più per contrastare efficacemente la tortura democratica del sovraffollamento carcerario.

Il 18 ottobre scorso, la Commissione Giustizia della Camera dei Deputati ha licenziato il disegno di legge AC 5019, di iniziativa del Ministro della Giustizia, in materia di depenalizzazione, messa alla prova, pene detentive non carcerarie e procedimenti nei confronti degli irreperibili.
Il testo approvato rappresenta certamente un lodevole tentativo per lenire il sovraffollamento carcerario, attraverso la previsione di sanzioni ed istituti che si allontanino dal canone legislativo – ormai invalso negli ultimi decenni – che vede nel carcere l’unica risposta possibile alla commissione di qualsivoglia reato; si tratta, dunque, di un condivisibile tentativo di superamento della c.d. funzione pancarceraria della pena.
Si è, infatti, in presenza di un sistema che ha decisamente spostato l’asse dalla prevenzione alla penalizzazione. Tale fenomeno, comunemente definito passaggio dallo Stato sociale allo Stato penale, ha comportato una modifica profonda della Costituzione materiale, aprendo così la strada ad uno stravolgimento in senso autoritario ed essenzialmente repressivo dell’intero quadro giuridico nazionale. Il carcere si configura sempre di più come contenitore del conflitto, come discarica sociale e strumento atto a confinare donne e uomini delle classi sociali meno abbienti, in quanto tali, ritenute pericolose. Circa l’80 per cento della popolazione carceraria è, infatti, costituita dalla cosiddetta detenzione sociale, ovvero da persone che vivono uno stato di svantaggio, disagio o marginalità (immigrati, tossicodipendenti, emarginati) per le quali, più che una risposta penale o carceraria, sarebbero necessarie politiche di prevenzione e sociali appropriate.
In questo quadro, l’amnistia e l’indulto sono provvedimenti necessari e non procrastinabili; pur tuttavia, tali provvedimenti rischierebbero di risultare inutili ove non accompagnati da una riforma organica e di struttura dell’intero ordinamento penale.
Il disegno di legge approvato, nella prospettiva anzidetta, appare, in definitiva, una risposta esangue e, conseguentemente, insufficiente rispetto alla ratio che ne ha determinato la presentazione.
E’, infatti, facile prevedere – sulla scorta delle osservazioni che seguono – che la disciplina adottata dalla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati conseguirà effetti assai limitati.

L'articolato contempla l’introduzione della detenzione domiciliare quale pena detentiva non carceraria (art. 2); tale istituto è contemplato, però, limitatamente ai delitti puniti con la reclusione non superiore, nel massimo, a quattro anni.
E’ evidente che una comparazione coordinata di tale previsione con l’assai esiguo novero di reati del codice penale e non che prevedono tale limite edittale massimo, fa sì che le fattispecie interessate dall’applicazione di tale disciplina siano del tutto esigue.
D’altro canto, è evidente che il dato quantitativo delle persone detenute per questi titoli di reato sia comprensibilmente marginale e poco significativo, in termini numerici.
Ancora, la nuova disciplina non può trovare applicazione laddove essa non appaia idonea a scongiurare il pericolo di reiterazione del reato o se possa compromettere le esigenze di tutela della persona offesa dal reato: è evidente come il margine di discrezionalità sia eccessivamente ampio. La sanzione penale, più che una pena in senso tecnico, appare avvicinarsi maggiormente ad una misura alternativa alla detenzione carceraria, per di più condizionata ad un’eccessiva congerie di presupposti applicativi.
Di nuovo, per i reati puniti con pena non superiore ai 4 anni di reclusione, si introduce il nuovo art.168 bis c.p. (art. 3) che prevede, per l'imputato, la facoltà di richiedere la sospensione del processo con la messa alla prova. L’istituto ha trovato ampia applicazione e buona prova di sé nel processo minorile.
Anche in questa ipotesi, tuttavia, il contenuto limite edittale dei reati per i quali viene prevista (limite non contemplato nel processo minorile) non conseguirà alcun effetto né in termini di decarcerizzazione né tantomeno di deflazione del processo penale.
L’articolo 4 c. 4 introduce il nuovo art. 464-bis c.p.p. che prevede che alla richiesta di messa alla prova venga da subito allegato un programma concordato con l’UEPE. Una tale previsione appare, in concreto, non realizzabile, particolarmente nella fattispecie processuali in cui i termini sono assai brevi, come, ad esempio, il termine di quindici giorni previsto per la richiesta, già corredata ai sensi del comma 4, a seguito di notifica di decreto che dispone procedersi con giudizio immediato.
In questo caso, sarebbe assai più ragionevole introdurre la possibilità, una volta avanzata la richiesta di messa alla prova, di produrre la documentazione sino all’udienza.
Scarsamente comprensibile, appare, inoltre, la disciplina prevista per il novellato art. 464-ter c.p.p., che prevede il consenso del Pubblico Ministero, se la richiesta viene avanzata nel corso delle indagini preliminari. Se vi é dissenso la richiesta può essere riformulata prima dell'apertura del dibattimento.

Tale sintetica e non esaustiva illustrazione del disegno di legge, testimonia, ad avviso dell’Associazione Giuristi democratici, che gli effetti concreti che la nuova disciplina produrrà sull’emergenza carceraria saranno assai contenuti.
All’evidenza, restano incomprensibilmente esclusi dalle modifiche proposte i processi per violazione della disciplina sugli stupefacenti, i furti e tutti i reati della c.d. delinquenza minore, che maggiormente impegnano quotidianamente l’attività della magistratura.
E', al contrario, necessario fare di più e prevedere, tanto che il limite di quattro anni imposto dalla norma per la sostituzione della pena detentiva in altra misura fosse ancorato, ad esempio, alla pena in concreto irrogata e non alla astratta pena edittale, quanto, consentire un’applicazione più ampia dell’istituto della messa alla prova – da trasporre integralmente dal processo minorile, magari bilanciato da specifici meccanismi riparatori da istituirsi in favore delle vittime del reato – senza limiti edittali di legge.
C’è ancora tempo affinché il lavoro parlamentare migliori la disciplina proposta.
E’, infatti, ora giunto il momento di interventi legislativi audaci ed efficaci che aggrediscano in modo definitivo le cause dell’intollerabile stato di sovraffollamento delle nostre carceri.
E’, in definitiva, indispensabile cambiare approccio, abrogare le leggi che hanno, di fatto, creato criminalizzazione e carcerazione crescenti, per delineare la necessità del ritorno ad una nuova stagione del «diritto penale minimo», capace di comprendere ed incidere sulle effettive ragioni sociali della devianza e del crimine.

Torino, Napoli, Bologna, Roma, Padova, 31 ottobre 2012.

Associazione Nazionale Giuristi Democratici