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Oltre l'affido condiviso: leggi e giudici per la famiglia - Elena Coccia
Redazione 15 gennaio 2007 08:53
Pubblichiamo la relazione tenuta il 20 ottobre 2006 da Elena Coccia al convegno "Democrazia, diritti e giustizia al tempo dell'Unione".

OLTRE L'AFFIDO CONDIVISO: LEGGI E GIUDICI PER LA FAMIGLIA


Il 16 marzo 2006, tra squilli di trombe e rulli di tamburo, è entrata in vigore la legge 54/06 sull'affido condiviso, che modifica l'art. 155 del c.c. ed afferma solennemente il principio della bigenitorialità. Sorprende innanzitutto che tale ovvio e scontato principio sia stato da più parti interpretato come un concetto nuovissimo e rivoluzionario. Tale non è perché, a parte la norma costituzionale all'art. 30, la legge sul divorzio 898/70, il nuovo diritto di famiglia 685/75, e le successive modifiche, lo avevano già affermato e ribadito, ma soprattutto la legge ordinaria con l'art. 148 e 261 c.c., il primo per i figli nati da coppia sposata, ed il secondo per la prole di coppie di fatto, avevano dato piena attuazione al principio della bigenitorialità. A questo si aggiunga la convenzione di New York sui diritti del fanciullo 20 novembre 1959, ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge del 27 maggio del 1991, dove solennemente si afferma che "gli stati parti rispettano il diritto del fanciullo separato da entrambi i genitori, o da uno di essi. ad intrattenere regolarmente rapporti personali e contatti diretti con entrambi i genitori, a meno che ciò non sia contrario all'interesse preminente del bambino". La stessa normativa, poi, dichiarava all'art. 18 co. 1 che gli stati parti "devono fare il loro meglio per garantire il riconoscimento del principio secondo il quale entrambi i genitori hanno una responsabilità comune per quanto riguarda l'educazione del fanciullo e il provvedere al suo sviluppo". Inoltre proprio l'art. 155 c.c., successivamente modificato, prevedeva la possibilità dell'esercizio congiunto della potestà e con la legge 74/87 si prevedeva anche l'affidamento congiunto. Quindi viene da chiedersi quale elemento di novità sotto questo profilo abbia introdotto l'affido condiviso tanto da costituire uno degli elementi della quasi vittoria della Casa delle Libertà alle elezioni politiche dell'aprile scorso. Non nascondiamo che tale legge è stata fortemente voluta da una lobby diventata potentissima, l'associazione dei papà separati, i quali non hanno nascosto le loro simpatie per il passato Governo, ed hanno considerato l'affido condiviso solo come il primo passo verso un ulteriore modificazione delle leggi in merito alla famiglia e sulle donne, tanto è vero che in uno dei loro blog leggiamo: "e adesso l'aborto", dove un papà separato afferma che "le femmine ape vogliono il seme per poter poi espellere i maschi fuchi dalla loro vita, che possono decidere da sole se continuare o meno la maternità ma che ciò non è giusto e che pertanto la prossima battaglia sarà quella che l'aborto dovrà passare attraverso l'autorizzazione o quantomeno il consenso dei "seminatore".
Tuttavia affermare che la 1. 54/06 sia stata una legge inutile e solo frutto della retorica di questi anni è sbagliato, piochè viceversa essa sta incidendo profondamente nei costumi e nei comportamenti degli italiani. E, se mi è permesso esprimere un giudizio, con un arretramento delle conquiste delle donne in più punti e non solo sull'autodeterminazione.
Innanzitutto la precedente giurisprudenza si era orientata a consentire l'affidamento congiunto solo nell'ipotesi in cui non esisteva conflittualità tra i coniugi. Oggi viceversa, l'affido congiunto, secondo l'interpretazione prevalente della dottrina, lo si concede a prescindere. Questo dà la facoltà al magistrato di indagare sulle cause del conflitto che sembravano viceversa negli anni. attenuate, e quindi la necessità di invadere la sfera privata del coniugi allo scopo di verificare non più la responsabilità della rottura del vincolo matrimoniale, ma chi dei due, da tale rottura, ne sia uscito meno provato, perchè costui sarà il genitore dell'affidamento prevalente.
Quindi potremo trovarci di fronte ad una condizione totalmente capovolta rispetto alla precedente giurisprudenza, che non legava più l'affidamento all'addebito, ma teneva conto di tutte le circostanze. Potremo quindi trovarci di fronte alla situazione che colui che ha determinato la rottura del vincolo causando nell'altro dolore e perdita, poi si veda concretamente affidati i figli con la prevalente abitazione perchè risponde di più a quei criteri, almeno momentanei. di affidabilità. rispetto ai tigli. La sofferenza quindi come colpa. Quanto questa scelta possa essere risolutiva dei conflitti è abbastanza arduo chiederselo, quanto questa scelta può dar luogo ad ulteriori e pii gravi conflitti appare già abbastanza evidente. Poichè e chiaro che all'abitabilità prevalente del minore è legata l'assegnazione della casa coniugale, quindi laddove si era superato il limite del concetto di proprietà, nell'interesse del minore, tale concetto, con questa legge è ritornato in auge con tutte le sue conseguenze. D'altra parte è proprio il 155 quater che svincola il concetto di assegnazione della casa coniugale dall'affidamento del figlio e pertanto, rivalutato il concetto di proprietà della casa coniugale, potremo trovarci difronte a situazioni in cui al coniuge più debole, non venga affidato il figlio e non gli sia assegnata la casa, ciò è un ulteriore passo verso l'impoverimento delle donne che avevamo già notato e segnalato in altre occasioni.
La giurisprudenza si sta orientando rispettando più la logica che la lettera della legge, nell'assegnare la casa coniugale al coniuge con cui prevalentemente vivono i figli, indipendentemente dalla proprietà della stessa, e quindi in qualche modo non tenendo conto dell' art. 155 quater, Tuttavia poichè l'assegnazione della casa coniugale è strettamente connessa sia al diritto di proprietà che all'abitazione prevalente dei figli, dobbiamo dedurne che appena i figli compiono la maggiore età si ripristina il concetto dì proprietà. Non voglio aggiungere nient'altro a questo, lasciando all'immaginazione cosa questo possa significare se applicato alla lettera.
Anche il concetto del mantenimento, che la giurisprudenza e le leggi precedenti avevano strettamente ancorato alle reali possibilità dei coniugi, e, in caso di un coniuge pii facoltoso, alle reali possibilità di quest'ultimo, viene in qualche modo attenuato. Ed infatti il 4 co. dell'art. 155 dichiara che non é obbligatorio la previsione di un assegno di mantenimento, in quanto ciascun genitore provvede al mantenimento in misura proporzionale al proprio reddito. Ancora una volta la norma prima che essere ingiusta è ambigua, così come una certa giurisprudenza che lega ciascun genitore al capitolato di spesa, facendo si che il coniuge, con cui prevalentemente vivono i figli, diventi in qualche modo il contabile dell'altro. Naturalmente la giurisprudenza più qualificata ritiene che almeno i bisogni primari del minore, vitto, alloggio, vestiario, scuola, mezzi di trasporto, possano essere predeterminati e quindi non provati, tuttavia dobbiamo dire che si è in qualche modo tornati indietro a quella giurisprudenza del anni '70 che vedeva il mantenimento sotto forma di "minimo vitale".
Nessuna rivoluzione neanche nell'ascolto del minore, previsto già dalla Convenzione di New York e dalla successiva legge italiana del '91. L'art. 155 su questo punto è particolarmente ambiguo, non dà nessuna indicazione su come tale minore possa essere ascoltato, (si pensi a tutti gli accorgimenti viceversa usati nel caso di minore vittima di reato), ma indica che ciò può avvenire "tutte le volte che il minore mostri discernimento". Che cosa si intende per discernimento? Chi è che stabilisce se un minore abbia o meno discernimento? Le parti troveranno un accordo nel condurre il figlio dinanzi al giudice, ma in questo caso che bisogno vi è di condurvelo? Oppure sarà questo un ulteriore motivo di conflittualità ed infine una manifestazione di profonda irresponsabilità, tendendo a far assumere al figlio scelte che viceversa vanno fatte dagli adulti.
Tutto questo è ancora niente, perché i guai per il coniuge più debole si presentano alla maggiore età dei figli. Secondo il 155 quater, il coniuge non ha più diritto all'assegnazione della casa coniugale; se poi passa a convivere dopo la separazione con altra persona, perde questa assegnazione anche prima.
In questo modo ritorna il concetto di colpa, che il legislatore aveva attenuato con la legge del '75, e che comunque nella concezione dell'addebito, permaneva prima della separazione, durante il matrimonio, e non dopo. E.' davvero incredibile che si tende a stigmatizzare un comportamento di un coniuge separato dopo la dichiarazione di separazione stessa!!.
Infine con la maggiore età il figlio, sia questo coabitante o meno con uno dei coniugi, ha diritto al versamento diretto dell'assegno di mantenimento. Detto articolo, che pure può essere interpretato come una forma dì responsabilizzazione del figlio e di emancipazione dello stesso, si rivela, nel caso in cui continui la coabitazione per esempio con la madre, di difficile gestione e soprattutto di ulteriore vessazione per le donne. Cosa dovrà fare costei? Il conflitto si sposta da marito e moglie, a madre (o padre) e figlio.
Poichè la realtà ci insegna che più spesso (all'89%) i figli convivono con la madre anche nell'affido condiviso, quest'ultima norma, e tutto lo spirito della legge, sembrano unicamente scrollare il padre da ogni responsabilità, liberandolo completamente. Insomma quella che già nel linguaggio dei familiaristi si definiva una generazione di Peter Pan, ha con questa legge, avuto un pieno riconoscimento. L'unica luce di questa normativa sembra essere, più per errore che per volontà, l'equiparazione dei figli nati da coppie di fatto ai figli nati da coniugi. Infatti il Tribunale dei Minori di Bologna si è già espresso, dichiarandosi incompetente, in un caso di affidamento di un minore nato da coppia di fatto. Naturalmente tale sentenza viene molto osteggiata dai Giudici Minorili, che vedono la loro competenza sempre più limitata e residuale. D'altra parte da lungo tempo si discute della necessità di unificare le competenze rendendo quella dei Tribunale Minorile Civile del tutto marginale. Una legge che limiti tali competenze sicuramente gioverebbe a tutti data la tipicità e le caratteristiche dei Tribunali per i Minorenni, sulle cui ragioni rimandiamo alla mia relazione tenuta a Torino nel luglio del 2005.
L'ombra maggiore di questa legge si stende sulla libertà personale del coniuge separato. Abbiamo già detto della "sanzione" nella quale ricade il coniuge separato che passa a convivere con altra persona, ma ancora più grave, è il 155 quater laddove si limita il cambiamento di residenza o di domicilio di uno dei coniugi, quando tale cambiamento interferisce con l'affidamento. Questa parte della legge deve essere dichiarata incostituzionale poiché limita la libertà personale di uno dei coniugi costringendolo ad effettuare una scelta tra la perdita dell'affidamento o la limitazione alla propria libertà di movimento. Ci sembra questa una norma particolarmente invasiva per le donne che, ancora una volta affidatarie privilegiate di fatto, si troverebbero ad essere inchiodate nel luogo di residenza del marito senza possibilità di spostarsi liberamente per ragioni di lavoro, affettive o per semplice ricerca di libertà.
Un capitolo a parte merita poi la questione della potestà genitoriale, che ovviamente spetta ad entrambi e quindi ad entrambi le decisioni che riguardano i figli. I Tribunali sono sommersi da ricorsi di coniugi che non hanno trovato un accordo sulla scuola dei propri figli; spesso l'opzione è tra scuola pubblica o scuola privata, e data la "parità scolastica", i criteri a cui appellarsi per una decisione finiscono per essere del tutto surrettizi. Possiamo immaginarci anche il ricorso dal giudice per stabilire l'educazione religiosa o laica dei figli. Che cosa deciderà il Giudice? Quali elementi avrà? Sceglierà la religione del padre o quella della madre? La laicità dell'uno o la religiosità dell'altro?.
Come è facile capire l'affido condiviso più che risolvere dei problemi, ne ha creati, aumentando, e talora spostando, la conflittualità. Nella pratica esso viene usato come una specie di clava contro le donne. Tutte le volte che si vuol far recedere una donna dalle proprie richieste si paventa l'affido condiviso, che in talune situazioni apre baratri di angoscia nelle donne, soprattutto di fronte a figli molto piccoli. In definitiva esso è diventato un'arma incredibile di ricatto.
In altri stati europei, come la Germania, l'affido condiviso, introdotto dal Governo Schreider, è stato poi rivisto e modificato in molti punti. In realtà si auspica, ancora una volta, una legislazione unitaria che non diluisca per tre competenze il diritto di famiglia, ma che tenga conto che gli interessi devono essere considerati preminenti e paritari, sia quello degli adulti che dei minori, evitando di ricorrere a legislazioni speciali e a pratiche invasive che finiscono per essere necessariamente limitative della libertà personale e dei diritti fondamentali.
Non si auspica qui un ritorna indietro circa il concetto della bigenitorialità, che come elemento acquisito può sicuramente comportare una rivoluzione nei costumi, ma sicuramente si invocano più garanzie per i soggetti deboli della famiglia. Ci sembra innanzitutto indispensabile la parificazione dei diritti di tutte le unioni, partendo dal concetto, oramai acquisito che non può più parlarsi di famiglia, ma deve necessariamente parlarsi di famiglie. Purtroppo su tale terreno scontriamo un ritardo meramente ideologico all'interno del Governo dell'Unione che anche nei capitolati di spesa della finanziaria non parla mai di cittadini, ma si riferisce sempre ad aiuti per la famiglia, intendendo per esse l'accezione più classica. La realtà ci dice invece che le famiglie di fatto, anche di sesso diverso, stanno per superare le famiglie classiche.
Benché la giurisprudenza corrente. adeguandosi sempre più alla realtà, ha perequato alcuni diritti (concessione della casa familiare al genitore con cui vive prevalentemente il figlio, assegno di mantenimento per il figlio), rimangono però aperti la maggior parte dei problemi, quali il subentro nell'abitazione occupata, la reversibilità di pensione, l'uso e talora la proprietà di oggetti ed averi acquistati durante detta convivenza, il diritto a gestire il patrimonio, il diritto all'assistenza sanitaria, il diritto ad essere informato, ad assumere decisioni circa la malattia del proprio convivente, ad esprimere consenso per eventuali trattamenti terapeutici.